Un futuro riconciliato

Pubblicato il 26-07-2021

di Claudio Monge

Papa Francesco in Iraq.
Un viaggio profetico alla prova di risibili contestazioni di parte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

È ormai noto a tutti che il recente storico viaggio in Iraq di papa Francesco, si è concluso con una grande messa finale celebrata nello stadio Franso Hariri di Erbil, capoluogo della regione autonoma del Kurdistan iracheno, alla presenza del­le principali autorità politiche e reli­giose ma anche, con l’avallo, negoziato a tempo debito, del governo centrale di Baghdad e del suo Primo Ministro Mustafa al-Kadhimi che, dopo il viag­gio papale, ha istituito, per il 6 marzo di ogni anno, la Giornata nazionale della tolleranza e della coesistenza.

Forse pochi sanno, invece, che Fran­so Hariri, eroe indipendentista curdo iracheno ed ex-governatore di Erbil, era un cristiano assiro, assassinato nel 2001 da islamici appartenenti ad Ansar al-Islam, gruppo terroristico attivo in Iraq e Siria e appartenente alla galassia criminale di al-Qaeda. I cristiani non hanno mai avuto vita facile neppure nella regione curda, pur avendo trovato rifugio in essa nelle settimane più buie della notte del califfato. Spezzare il pane eucari­stico ad Erbil, ultimo atto pubblico del viaggio apostolico di Francesco nella terra del Tigri e dell’Eufrate, è stata un’occasione in più per ribadire che i cristiani, curdi o meno, sono chiama­ti ad essere attori protagonisti, con tutte le altre entità etniche, culturali, religiose e politiche che caratterizzano la diversità irachena, del futuro, che si spera riconciliato ed inclusivo, dell’I­raq. Per far questo, bisognerà conti­nuare a lottare contro gli interessi di parte e le visioni ideologiche a corto raggio, come quelle ancora una volta manifestatesi con l’affare dei franco­bolli emessi dalla regione autonoma del Kurdistan iracheno, per celebrare la storica visita papale.

In uno di essi figurava, come sfondo al profilo del Papa, una mappa del "Grande Kurdistan". Si tratta di un’a­rea vasta 450mila kmq, abitata dalla popolazione di etnia curda, suddivisa tra Turchia, Siria, Iran ed Iraq, che, in realtà, prima ancora di dover essere valutata in termini di compatibilità con il "diritto all’autodeterminazione", troverebbe, comunque, un ostacolo insormontabile nella volontà dei sog­getti stessi che dovrebbero esercitarla! Questo progetto del tutto teorico, non ha nulla a che vedere, infatti, con l’aspirazione di quattro entità curde indipendenti. Di queste, la Regione Autonoma del Kurdistan in Iraq è, tra l’altro, l’unica che, concretamen­te, ancora aneli ad un’indipendenza politica, oltre alla richiesta di tutti i curdi di un necessario riconoscimento storico-culturale! Insomma, quello del malaugurato francobollo è stato un pasticcio delle autorità di Erbil (una svista, una malizia?), costrette ad impacciati quanto ridicole mar­ce indietro di fronte alle veementi reazioni di Turchia ed Iran, Paesi che, per altro, non avevano nulla eccepito, a livello diplomatico ufficiale, contro il programma del Viaggio Apostolico nel confinante Iraq.

Insomma, gli unici a rallegrarsi dell’incidente diplomatico causato dalle autorità di Erbil sono stati i collezionisti di francobolli (la serie era stata offerta il 5 marzo, all’arri­vo di Francesco, e universalmente pubblicata, diventando rarità da collezionismo al momento del ritiro del francobollo incriminato) oltre i soliti (noti) "avvoltoi" che rimpolpano lo sparuto gruppo di oppositori ad ol­tranza di papa Francesco, pronti ogni volta a truccare i fatti, accecati dalla loro "ignoranza prevenuta". Eppure, basterebbe informarsi per sapere che non esiste nessun pronunciamento esplicito dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite su un "legittimo diritto al Grande Kurdistan" (tutt’altra cosa è il dibattito su un diritto generico all’auto-determinazione dei popoli, sostenuto da anni dall’ONU), come è farsesco etichettare il viaggio di Fran­cesco come follia di un Papa ingenuo, manipolato dalle potenze regiona­li. «Ora, si avvicina il momento di ripartire per Roma. Ma l’Iraq rimarrà sempre con me, nel mio cuore – ha detto nel suo saluto finale allo stadio di Erbil il Santo Padre – Salam, salam, salam! Shukrán! Dio benedica tutti! Dio benedica l’Iraq!». Era l’ennesimo appello all’unità nella diversità di tutta una Nazione, con buona pace degli alleati del "διαβάλλω (diabàllo)"… colui che semina la divisione.

Spezzare il pane eucaristico ad Erbil è stata un’occasione in più per ribadire che i cristiani, curdi o meno, sono chiamati ad essere attori protagonisti.

 

NP Aprile 2021

Claudio Monge

 

 

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