Un corpo per servire

Pubblicato il 13-02-2025

di Cesare Falletti

Anche se ho detto di sì al Signore per una vita nascosta a cui aspiravo devo dire che troppo nascosta il Signore non me l’ha data.
Forse non ne sarei stato capace, forse non aveva messo in me i doni necessari, forse l’evoluzione della storia dal mio primo sì al giorno d’oggi ha travolto sia me che lui! Effettivamente ho vissuto un tempo in cui tutto è cambiato: dal papa al cristiano più piccolo e più semplice, tutti abbiamo dovuto dire dei sì e accettare impegni e modi di fare che mai avremmo pensato al momento della partenza nella vita adulta.
All’inizio della mia vita adulta è stato celebrato il Concilio Vaticano II che ha cambiato in molto il modo di vivere la propria religiosità e anche i rapporti sociali. Ho dovuto riadattarmi.

Quello a cui non ero preparato era il dover incontrare tanta gente. Da giovane ho sempre pensato di essere troppo timido per poter agganciare persone e saper rispondere alle loro attese, anche se avevo davanti a me l’esempio di mia madre, che, con lo stesso mio carattere, era continuamente sollecitata all’accoglienza.
I nostri amici (eravamo una famiglia numerosa con casa aperta) molte volte preferivano andare a parlare con lei che stare con noi. E lei ci stava. Non aveva mai «troppo da fare» per non saper posare il lavoro che aveva nelle mani e sedersi e ascoltare.

A volte penso che sono spinto all’incontro contro la mia stessa volontà, ma non è vero.
Ogni volta in me c’è una accettazione volontaria di lasciarmi incontrare o di voler incontrare.
Non si può vivere una parodia dell’incontro, se non si vuole essere semplicemente dei mestieranti. Ma nel mio caso quale mestiere? Non vendo niente!

Incontrare vuol dire aprirsi o addirittura darsi ed essere pronti a ricevere: si può incontrare per caso, ma se ci si ferma occorre esserci, stare e consegnarsi, altrimenti è meglio fuggire.
Quando ero in vacanza al paese dove conoscevo tutti, si fa per dire, prima di uscire dovevo decidere se la causa della mia uscita richiedeva un tempo breve e un ritorno rapido o se uscivo per una commissione, ma disponibile a ogni incontro. Nel primo caso uscivo in bicicletta anche se per pochi metri di distanza, nel secondo accettavo di non sapere a che ora rientravo! Gli incontri non erano causa di disagio o perdita di tempo, erano ricchi perché le persone quando si sentono accolte si aprono sia al confidarsi che all’ascolto. Era sempre bello.
Forse oggi lo stratagemma della bicicletta non si usa più, ma anche da monaco ben anziano, quando esco dalla clausura so che mi espongo all’incontro e che non potrò sottrarmi. Questo mi ricorda che ho un corpo per darmi, non per essere chiuso in me stesso; con tutte le conseguenze.
Se devo tenerlo in salute, non basta che la ragione sia «per stare bene», ma «perché posso essere utile».

Si parla di Gesù venuto per servire e non per essere servito. Ha preso un corpo per questo.
È stato incontrato, è stato visto e ha guardato. I suoi occhi sapevano raggiungere coloro che incontrava e loro si sentivano accolti. Il famoso ricco è stato guardato in un modo tale che tutti si sono accorti che Gesù lo ha amato e san Marco lo riferisce.
In quello sguardo Gesù ha accolto, ma si è anche dato.
Questo è uno dei tanti incontri di Gesù che fanno strettamente parte dell’incarnazione del Verbo.
Dio ha voluto incontrare davvero gli uomini ed essere da loro incontrato. Per questo ha preso un corpo e un linguaggio che fosse il nostro. Con questo ha aperto la porta alla nostra vita non solo di incontro, ma di appartenenza alla vita divina.
 

Cesare falletti
NP novembre 2024

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