Soul of Seoul

Pubblicato il 21-06-2021

di Luca Periotto

«Sovrappopolazione e rovina del pa­esaggio erano malanni galoppanti. Lorenz si scagliava contro l’inerzia della pubblica opinione; contro la smania universale del nuovo; contro la mancanza di rituali di corteggia­mento, giovevoli alla stabilità del matrimonio; e temeva che la nostra civiltà soccombesse ai meno viziati popoli dell’Est» (Bruce Chatwin – Variazioni su un’idea fissa).

 

Seul, che si pronuncia “Soul” cioè anima in inglese, è indubbiamente il luogo con il più elevato concentrato di tecnologia all’avanguardia del mondo: uno specchio orientale rivolto a ovest che riflette immagini, forme, suoni, colori e gli stereotipi ambiti di un Occidente talmente vici­no da risultarne fagocitato, inglobato in un orientale modello umanistico che privilegia il “nuovo” rispetto a tutto ciò che ha un aspetto antico.

Va perciò considerato vecchio, su­perato, impacchettato con plastica e strass luccicanti, bagliori artificiali di luci a led che devono confondere l’avversario esattamente come il gioco di specchi ustori usato a bordo delle imbarcazioni della Antica Roma, un sistema di difesa progettato da Archi­mede come arma offensiva. Si serviva dei raggi del sole, riflessi terribili che affondavano le navi avversarie, una tecnologia mai vista.

La differenza palpabile tra noi euro­pei e loro coreani non deve stupire, perché i nuovi orientali contempo­ranei non sembrano proprio voler diventare una copia fedele dell’Occi­dente. Si capisce dal fatto che hanno saputo bruciare le tappe in materia di progresso, i cosiddetti “steeps”, passaggi culturali che in ogni epoca sono stati necessari per la crescita e lo sviluppo del Vecchio Continente a partire dal Rinascimento, dal barocco, fino ad arrivare al postmodernismo.

Sono frutti di passaggi necessari che loro, i nativi coreani, devono per forza aver saltato per aver saputo trasfor­mare in poche decadi una nazione che adesso è la 12° economia tra le nazioni più sviluppate. Un salto temporale compiuto che li ha proiettati da una condizione contadina rurale, diretta­mente nel presente post-industriale che dell’Europa e degli USA. Come sia stato possibile non è un segreto per chi conosce i coreani.

Se si osserva Seul dall’alto di uno dei più alti grattacieli, il World Trade Centre, non si può più fare a meno di notare la sua somiglianza con l’esploso di un gigantesco circuito stampato dove ogni singolo colore delimita una delle tante aree (cluster) che com­pongono questa avveniristica città moderna: funzioni controllate da un super computer, forse alimenta­to con tecnologia quantica, che a sua volta è il “cervello” delegato a control­lare una rete capillare di telecamere sparpagliate ovunque.

Seul è il futuro, una città di circa 12 milioni di abitanti, la città più sicura del pianeta, dotata di una rete metro­politana grande due volte quella di Londra.Un controllo massiccio, totale che a scapito della privacy predilige la sicurezza e l’efficienza.

Un paradiso dove bambini e ragazze possono rincasare anche in piena notte senza bisogno di un adulto che le riporti a casa incolumi dopo la scuola. Dopo aver fatto le ripetizioni e le attività sportive, si finisce così per trascorrere tutto il giorno fuori di casa. Per gli adulti è anche peggio se il tuo capo ti costringe a restare oltre l’orario di lavoro per andare poi con tutti i tuoi colleghi prima al bar e poi a cena. Si rientra a casa nel cuore della notte con la prospettiva… Quale pro­spettiva? Nessuna prospettiva esiste all’orizzonte per chi sarà costretto ad abdicare dai propri doveri coniugali in un Paese che mira esclusivamente alla produzione esasperata di beni e di servizi all’avanguardia e dove conta la professionalità e l’individualismo esasperato impresso nell’ego di questo popolo come stigmate. Non c’è tempo per trascorrere del tempo libero con i propri cari, metter su famiglia, avere dei figli o semplicemente dormire; nessuna vacanza è prevista per la maggior parte della gente in un siste­ma lavorativo opprimente. Lo spirito competitivo s’impara sin dai primi anni di vita.

I tratti somatici di questo giova­ne popolo asiatico (è il Paese dove chiunque, anche i giovani, ricorrono alle plastiche facciali per modificare il loro aspetto rendendolo il più occi­dentale possibile), possono trarre in inganno: risultano essere una commi­stione di contaminazioni che si sono susseguite nel corso della storia. La presenza delle forze militari america­ne durante la Seconda Guerra Mon­diale sul suolo coreano hanno gettato le basi di una evoluzione antropologi­ca che di fatto non è ancora terminata e il ponte virtuale che collega la Corea del sud con gli Stati Uniti e ben più che solido.

Non essendo ancora terminato il conflitto che separa le due Coree, nel 2020 Trump ha chiesto alla Corea del Sud di sborsare una quantità enorme di denaro. Rivolgendosi al governo di Seul ha chiesto di pagare la presenza massiccia di soldati americani aumen­tando la spesa del 500%!

Del resto, basti pensare che soltanto nel 2019 il dittatore nord coreano Kim Jong Sun ha effettuato ben 24 lanci missilistici sotto gli occhi di Trump, mai lasciando grandi scelte agli avversari che non fossero quelle di servirsi di una protezione armata che il suo storico partner elargisce, così sembrerebbe, per una apparente convenienza economica ancor prima che strategica.

I coreani del Sud accusano quindi gli storici amici di cinismo, facendo di tutto perchénon si firmi una volta per tutte il trattato di pace che ponga fine a questa stupida guerra fratricida affrontata in salotto.

Per comprendere la Corea mi sono trovato a un appuntamento con un nuovo amico in una galleria d’arte nel distretto alla moda di Gangnam; conosciuto sulla rete, Kim lo trovai seduto ad aspettarmi per terra davanti alle sue carte di riso dipinte in bianco e nero con inchiostro indiano.

Le sue opere vendute a New York raggiungono cifre inimmaginabili. Una sera, davanti a un piatto fondo di ceramica ripieno di “ramen” piccan­tissimo – fra le poche cose rimaste di una ex cultura contadina – cominciò a parlare, raccontandomi il punto di vista di chi conosce bene la realtà in cui vive.

«Sì, qui la competizione è ai massimi livelli, oserei dire impietosa, difficile starle al passo. Il coreano del sud è ambizioso, vuole una bella casa, cose costose, auto di lusso, un grande tv color in salotto che non potrà mai godersi per via dei turni di lavoro infiniti. Non c’è mai un fine turno, chi si rifiuta è tagliato fuori, non contano le lamentele delle mogli e dei mariti: la società per la quale lavori è la tua famiglia».

Il governo ultimamente ha chiesto alle donne che aspettano un figlio di mettere nelle condizioni il marito di avere il frigo pieno, le camice stirate, la casa pulita prima del travaglio! È una società molto maschilista e misogina che non bada molto al ruolo della donna, questa ed altre sono le ragioni del perché non si fanno più figli. Sono anche le ragioni che hanno portato la Corea ad essere la nazione con il più elevato tasso di suicidi.

Passeggiando lungo il fiume che taglia in due il centro città resto colpito dalla bellezza del surreale rigoglio di flora e fauna. Si tratta di un’arteria lunga dodici chilometri, costata al comune di Seul 700 milioni di euro che la rendono il progetto di oasi urbana più riusciti e ambizioso.

«Io fotografo solitamente in bian­co-nero Kim, ma qui a Seul non ci riesco per via della contaminazione dei troppi colori… Tu, ho notato, fai quadri ad inchiostro usando solamen­te il nero: come ci riesci?».

«Ti capisco – mi dice Kim – dipingo con il nero perché per me è l’unico modo di concentrare il mio imma­ginario spettro di colori. Dipingo i tralicci dell’alta tensione perché sono nato in un Paese dov’è convogliata questa energia. Fra mille anni spero che i miei tralicci vengano visti come oggi noi interpretiamo l’isola di Pa­squa o Stone Age».

NP Marzo 2021

Luca Periotto

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok