Si passa col verde

Pubblicato il 20-11-2016

di Redazione Sermig

A cura della Fraternità dell’Arsenale dell’Incontro - Alcune settimane fa la polizia di Madaba ha organizzato un’attività di educazione stradale per i bimbi della nostra scuola. Qualche minuto prima che partissimo dall’Arsenale per raggiungere il luogo dell’attività il poliziotto che ha tenuto le fila dell’organizzazione ci telefona: “Ho dimenticato di chiedere una cosa, ce li avete i traduttori, vero?”. “Traduttori per chi?” rispondiamo noi. “Per i bambini, altrimenti come facciamo a parlare con loro?”.

L’Arsenale dell’Incontro vive ogni giorno dentro questa scommessa che per noi è profezia di un mondo nuovo, il mondo che Dio ha pensato: essere traduttori gli uni per gli altri, cercare continuamente i gesti, le parole e gli sguardi giusti per capirci, in un laboratorio permanente di dialogo che faccia sentire ciascuno accolto, amato, atteso, valorizzato. Che comunichi ad ognuno l’Amore, non a parole ma nei fatti.

All’attività di educazione stradale, come in mille altre occasioni, il laboratorio ha funzionato: gli sguardi emozionati dei bimbi di fronte ai poliziotti in divisa, la loro gioia nel salire sulla macchina della stradale e far suonare la sirena con i lampeggianti hanno aperto la strada. È stato commovente vedere il capo della polizia attraversare più volte la strada sotto il sole tenendo per mano i bambini, per insegnare loro che con il verde si passa e con il rosso ci si ferma. E poi vedere un poliziotto, con lo sguardo fiero di chi sta vivendo qualcosa di importante, fare lo slalom tra le macchine ferme al semaforo e poi chiedere ai bambini: “È così che si attraversa?”. E loro pronti, in coro: “No!!!”. Si sono capiti senza bisogno di traduttori di parole, perché si è creato un ponte, il ponte della commozione che diventa dialogo. Sono questi ponti che spesso aprono strade nuove, inaspettate, che nascono solo dal desiderio di fare felici gli altri condividendo con loro il meglio che si ha. Il giorno dopo l’attività il comandante della stradale è tornato all’Arsenale e ci ha detto: “Grazie per l’emozione di ieri, siete voi che avete fatto un regalo a noi... Rientrando in caserma ci siamo chiesti qual era la cosa più bella che potevamo offrirvi, perché ai vostri bambini vogliamo dare il meglio. Così abbiamo chiamato il comandante della caserma centrale ad Amman e vorremmo portarvi a visitarla”. Gratitudine, sguardi carichi di emozione e un nuovo ponte gettato che siamo sicuri porterà altri frutti.

Gli Arsenali vivono di storie come questa. Qui a Madaba, ogni giorno oltre duecento bambini e ragazzi diversamente abili con le loro famiglie si imbattono con volontari, giovani e profughi che attendono di poter ricominciare una nuova vita lontano dalle atrocità della guerra. Ognuno è qui per un motivo diverso, ma nel calore di una casa, di un villaggio, viene coinvolto un po’ alla volta dal desiderio che quell’incrociarsi nei corridoi diventi incontro vero, si trasformi in aiuto offerto e ricevuto. Il dialogo nasce così.

Noi della Fraternità che viviamo qui non smettiamo di stupirci delle piccole e grandi occasioni di dialogo che Dio ci dona ogni giorno, consapevoli che la nostra presenza è un segno concreto e chiaro della possibilità di incontrarsi e dialogare nonostante le diversità, anzi, facendo di queste diversità una ricchezza, un dono reciproco.

Martedì scorso all’incontro di preghiera lo abbiamo toccato con mano ancora una volta. Inaspettatamente scendono dal nostro autobus più persone del solito e subito vediamo dei volti nuovi. Una delle nostre giovani ha portato con sé cinque ragazze siriane, arrivate in Giordania da pochi giorni per il colloquio per ottenere il visto per l’America. Si guardano intorno stupite e ci chiedono di vistare l’Arsenale per capire meglio chi siamo. Le affidiamo a una delle nostre volontarie, mentre noi accogliamo gli altri ragazzi, giordani e iracheni, che ormai da tempo frequentano l’Arsenale. Ci sono anche due giovani sposi italiani che hanno deciso di condividere con noi il loro viaggio di nozze. Subito i ragazzi iracheni cominciano a raccontare della loro fuga dall’Iraq e di quello che hanno vissuto in questi due anni in Giordania. Emozionati per le notizie che arrivano dall’Iraq, sperano e pregano che Mosul – la loro città – possa essere liberata presto. Condividono con noi le notizie ricevute dai loro parenti ancora in Iraq e le loro speranze, che ormai da tempo avevano messo da parte: “Se liberano Mosul e la situazione si ristabilizza po-tremmo tornare là…”. Intanto le ragazze siriane finiscono la visita dell’Arsenale e tornano da noi contente di quello che hanno visto nella nostra casa. Spontaneamente ci raccontano che sono di Homs, uscite per la prima volta dalla Siria tre giorni fa. Cala il silenzio, si abbassano gli sguardi, tutti pensiamo al dolore che attraversa questo Paese. Durante l’incontro di preghiera condividiamo le nostre riflessioni a partire dal Vangelo e poi ascoltiamo i nostri amici sposi che con semplicità e entusiasmo raccontano il loro desiderio di costruire una famiglia aperta al servizio degli altri.

Guardiamo questo insieme di persone così diverse, che si sono però ritrovate a confrontarsi con semplicità. Constatiamo ancora una volta che il dialogo non ha bisogno di cose complicate o di grande diplomazia, ma di occasioni di incontro concreto, in cui i dolori, le fatiche e i sogni condivisi ci aiutino a rafforzare il nostro comune desiderio di bene e a costruire qualcosa di bello, insieme.

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