Sebastião Salgado
Pubblicato il 05-10-2025
Brasile, agosto 2006
Gli indigeni della comunità sono circa trecento, vivono nel villaggio Aiha Kalapalo sulle rive del rio Culuene, un affluente dello Xingù, nello Stato brasiliano del Mato Grosso.
Dopo una battuta di pesca ci si dedica all’affumicatura dei piranha, il pesce poi verrà servito all’ospite su un tagliere di legno cosparso di sale vegetale di chambira, una spezia ottenuta dalle ceneri di una particolare foglia di palma, insieme a una tortilla di manioca. Ora – dopo quasi vent’anni – associo sempre a quel ricordo il sapore di quel particolare gusto salato.
Ero andato in quella remota regione per documentare quel che restava dei riti e dei miti prima che si trasformassero in un evento folkloristico, ma non avevo considerato che avrei incontrato là il mio “eroe mitologico” in carne e ossa, colui che ammiravo senza riserve come il fotografo umanista più grande che la storia ci abbia donato, l’erede morale di Henri Cartier Bresson.
Adire il vero non era la prima volta che lo vedevo di persona, appena cinque anni prima lo avevo incrociato sulle strisce pedonali nei pressi del Pantheon a Parigi e ci guardammo come un fotografo guarda un altro fotografo e ci si riconosce, quando si scopre che uno dei due porta una fotocamera al collo. La mia era attraente, non poteva passare inosservata. Come ben spiegato dalla teoria del Bauhaus, il design di un oggetto dev’essere capace di dichiarare la sua funzione: la mia Leica M nera era uno strumento di lavoro non un feticcio, esattamente uguale a quella del Maestro, con la differenza che la sua aveva catturato le immagini più poetiche e violente – spesso sovrumane – che la storia contemporanea le aveva messo di fronte.
A Xingù in quell’ aldeia di giorno con il sole alto non ci si incrociava quasi mai. Si usciva sul piazzale soltanto al mattino presto oppure verso sera, quando gli indios si riunivano per celebrare le fasi del Kuarup, il rito funebre simile alla nostra ricorrenza dei defunti che dura ininterrottamente alcuni giorni e alcune notti.
Salgado vestiva sempre con un completo color cachi facendo scomparire sotto un cappello di paglia a tesa larga il suo volto squadrato e spigoloso che ricorda un menhir dell’isola di Pasqua.
Benché io l'abbia riconosciuto subito, per timidezza ma anche per reverenza, ho scelto di rispettare il suo lavoro senza intervenire o farmi avanti. Gli avrei detto cose banali, scontate, e ho evitato di inquadrarlo con il mio obiettivo proprio per non mostrarmi invadente.
Lavorava a quel maestoso progetto chiamato Genesi e più tardi mi disse che già un anno prima aveva visitato questi luoghi e il medesimo contesto.
Mi raccontò qualche dettaglio mentre insieme una sera raggiungemmo la laguna dietro il villaggio per rinfrescarci e ricordo con emozione quando, osservando le farfalle fare incetta nel nostro sapone mi disse
che i bambini che giocano in acqua sembrano farfalle.
Aggiunse che il mondo da lui tanto amato cambiava troppo velocemente e questo gli dava sgomento.
Come dargli torto?
Si era circondati da funzionari e forestieri accorsi in massa nel villaggio in quei giorni; c'era anche una troupe della BBC con quattro attori, tutti pronti per girare una puntata della serie TV Survival.
L'ultimo giorno, una mattina, fotografammo spalla a spalla la lotta huka huka (come mostrano le immagini). Cercavo di non seguire le sue inquadrature, cercavo per pudore una direzione opposta. Non volevo replicare il suo sguardo che attraversa l'obbiettivo, era una cosa che non poteva sopportare un’imitazione. Oggi, quando rivedo una delle sue fotografie scattate in quegli stessi giorni e luoghi, mi sale un nodo alla gola. Rimpiango di non essere stato più sfacciato, di non aver chiacchierato più intensamente con lui. È un grande maestro.
Sento ancora in bocca il sapore del sale, un sapore persistente perché non c'era acqua potabile per poterci dissetare. Sento il sapore delle lacrime che non riesco a trattenere pensando a quell'uomo mite, gentile che passeggiava sotto le stelle di Xingù. Così tanto discreto, delicato e veloce nello scatto, vibrante e rapido come un colibrì.
testo di Luca Periotto
foto di Sebastião Salgado e di Luca Periotto
NP giugno/ luglio 2025




