Sconfitto dalla storia

Pubblicato il 26-11-2022

di Renato Bonomo

È sempre interessante raccontare agli studenti le ascendenze del grande sovrano Carlo V d’Asburgo. Nato a Gand, nell’attuale Belgio, il 24 febbraio del 1500 da Filippo d’Asburgo e da Giovanna di Spagna, Carlo vantava dei nonni decisamente importanti. Da parte paterna Maria, duchessa di Borgogna, e l’imperatore Massimiliano di Asburgo; da parte materna Isabella, regina di Castiglia, e Ferdinando, re d’Aragona (quelli per intenderci che nel 1492 avevano finanziato la spedizione di Colombo).

Se prendessimo una cartina d’Europa e provassimo a mettere insieme tutti i territori dominati dai suoi parenti, verrebbe fuori un elenco lunghissimo: Castiglia, Aragona, Navarra, Sud Italia, Sicilia, Sardegna, Paesi Bassi, Borgogna e Franca Contea, Arciducato di Austria. Senza contare i possedimenti nell’Africa settentrionale, nell’America centrale e caraibica. Con dei nonni così chissà quali regali ha ricevuto Carlo! La sua vicenda è incredibile: a partire dal 1506, per la morte di suo padre e la progressiva instabilità mentale della madre, divenne erede di tutte le terre governate dai nonni. Prima duca di Borgogna, poi a soli 16 anni re di Spagna, a 19 imperatore del Sacro Romano Impero. Per noi poveri mortali a quell’età è lecito sognare la patente e niente più.
Eppure, Carlo è uno sconfitto dalla storia: il suo progetto politico che prevedeva la costruzione di un impero composito cristiano si scontrò duramente contro le nuove tendenze che si stavano sviluppando nell'età moderna.

Quando parliamo di impero dobbiamo fare qualche precisazione. Carlo non desiderava creare un'unità statale europea unica, che distruggesse le differenze locali e nazionali. Credeva piuttosto in un sistema articolato di realtà politiche con proprie leggi e tradizioni che, in caso di conflitti e contrasti, trovassero nell’imperatore un giudice supremo, un'istanza pacificatrice che potesse sanare gli inevitabili scontri tra i diversi poteri, evitando guerre. Siamo quindi ben lontani dall’idea di un imperatore inteso come padrone e capo assoluto della vita politica.

Oltre ai turchi che furono una spina nel fianco continua, Carlo trovò due irriducibili nemici che osteggiarono fieramente i suoi propositi. Da una parte i nuovi Stati moderni, in particolare le monarchie nazionali, incarnati principalmente dal regno di Francia di Francesco I, che rappresentarono un ostacolo insuperabile perché gelosi della propria sovranità appena conquistata. Dall'altra la frammentazione del cristianesimo che, a partire dalla Riforma luterana del 1517, scisse il cristianesimo occidentale in maniera irreversibile. Le idee vincenti non erano più quelle del passato che vedevano il primato del tutto (impero, un’unica cristianità) sulle parti (singoli regni, diverse confessioni). In questo caso, a differenza della geometria, la storia ha operato in modo opposto, facendo vincere le parti sul tutto. Per questi motivi, per lungo tempo, Carlo e il suo progetto politico sono stati considerati una sorta di residuo dell'età passata. In effetti Carlo era stato educato secondo questa prospettiva: egli si concepiva imperatore della cristianità e non aveva capito che il vento soffiava ormai in altre direzioni. Nella cultura dell'umanesimo stava trionfando l'individuo: in politica e nella religione questo significava il rifiuto di ogni autorità universale religiosa e politica.

Oggi, alla luce di quello che sta accadendo dopo l’invasione dell’Ucraina, ci pare tuttavia doveroso riflettere su alcune suggestioni che il progetto politico di Carlo solleva. L’esigenza di fondo della sua azione è stata quella di trovare un’istituzione sovranazionale che potesse garantire la pace ed evitare che le contrapposizioni sfociassero in guerra. Anche il nostro presente, considerato lo stallo dell’ONU, ha un disperato bisogno che la comunità internazionale si doti di istituzioni che, con la forza del diritto e legittimamente, sappiano frenare gli istinti bellici e imperialistici dei singoli stati sovrani. Certamente non possiamo immaginare che questa autorità sia di natura imperiale, divina o dinastica, ma è possibile pensare di trovare una legittimazione nella comune appartenenza di tutti i popoli a un’unica famiglia umana.

Il mito dello Stato moderno esercita ancora oggi un fascino enorme ma, guardando al presente e al futuro, abbiamo la necessità rinunciare a qualcosa del nostro egoismo nazionale per immaginare nuove forme di vita civile in cui siano le leggi e non le appartenenze etnico religiose a tenere insieme la società.


Renato Bonomo
NP agosto / settembre 2022

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