Avvento: eterno ritorno, novità ininterrotta

Pubblicato il 02-12-2012

di Giuseppe Pollano

È vero che l’avvento fa ricominciare tutto da capo, però non per un eterno, ripetitivo, monotono ritorno, ma, all’opposto, per una novità ininterrotta.

Francesca Ferrari, Chi sonoRicominciare da capo
Ricominciare da capo perché ci sono situazioni non cercate, ma che sono accadute, di fronte alle quali la vita è mutata. Ero benestante, stavo bene, ma gli affari sono andati male dall’oggi al domani, e adesso sono povero. O viceversa. Ero sano, stavo bene, mi muovevo, andavo e venivo, e adesso ho perso la salute. Ero giovane e sto diventando adulto oppure ero adulto e sto diventando anziano e mi dicono che non sono più utile. Non amavo nessuno in particolare, ora amo moltissimo qualcuno, o viceversa. Sono esempi di cambiamenti importanti e indiscutibili, che implicano una dimensione non fissa del mio cristianesimo. Un cristianesimo di ieri non serve o non basta per affrontare situazioni ed esperienze di oggi, perché bisogna che il cristianesimo si adatti alla vita, che è fatta di mutamenti.
Ricominciare da capo perché soggettivamente ci si può sentire cambiati senza capirsi del tutto. Prego, ma non trovo Dio. Ci si può sentire cambiati rispetto alla propria fede, senza capire neanche bene perché. Pregare per me era una gioia, adesso prego e mi sento proprio il classico osso di seppia. Cosa può farsene Dio di una preghiera simile? Questi oscuramenti interiori della preghiera sono un fenomeno che può avere cause diverse, ma si tratta sempre di un cambiamento che può mettere in crisi. Mi sembrava di essermi impegnato, non ne ho più voglia, sono demotivato. Quando capita questo è molto deludente sul piano morale e sul piano ascetico, perché ci si condanna. Mi ero proposto alcune mete, un po' ce l’ho anche fatta, ora non ce la faccio più...

Se accade di trovarsi moralmente avviliti, sotto qualsiasi punto di vista (“non so perdonare, non ce la faccio ad essere generoso, non ce la faccio con la castità, non ce la faccio con l’umiltà”), prima di tutto non bisogna perdersi d’animo. Dio è più potente di noi e il bene vince il male: “Dio ha rinchiuso tutti nella disubbidienza, per essere misericordioso verso tutti!” (Rm 11,32), ho disobbedito a Dio e lui, che è buono, mi perdona. E poi bisogna capire il progetto d’amore che ha Dio per noi. Non posso mai più mettere in dubbio che Dio mi perdoni. I primi padri della Chiesa dicevano che al demonio non interessano tanto i peccati che fai, ma che lavorando sui peccati che fai, ti possa scoraggiare.

Ricominciare da capo perché può anche accadere che non ci troviamo pronti, con il nostro cristianesimo di ieri, ad affrontare certe sventole della vita: il dolore, una disgrazia, un imprevisto di fronte al quale è naturale reagire con la ribellione. La ribellione è un istinto che dice no al dolore: e non è peccato, ma può diventarlo quando, confrontandoci con Dio, lo mettiamo sul banco degli imputati e lo accusiamo. L’istinto della protesta viene quando il dolore è grande e può intervenire la non accettazione, l’amarezza, il sentirci meno vicini a questo Dio che permette queste sofferenze. Si continua magari a pregare, però a denti stretti. Qualcosa in noi è cambiato, questa è crisi esistenziale forte. Dobbiamo affrontare Dio con un tipo di conoscenza diverso da quello della nostra logica mentale per poter arrivare a capire il mistero.
Ricominciare da capo perché può anche accadere che nella coscienza più ordinata, nella vita più semplice, più giusta, chissà come e chissà perché, saltino fuori idee strane, fantasie, di cui noi stessi restiamo stupiti perché non riconosciamo nostre. Però sono proprio nostre.


Ilia Rubini, La graziaCalibrare fede e vita
La vita è una sfida. Il cristianesimo che rimane sempre lo stesso e sa adattarsi alle situazioni è come un piccolo aereo che di colpo deve portare un carico enorme e non ce la fa a decollare. Bisogna affrontare le nuove situazioni senza paura e angoscia.
Il vangelo ci ricorda con molta efficacia la vivacità del cristianesimo. Infatti Dio è lievito (Mt 13,33), è sale (Mt 5,13). Il pane può essere abbondante, ma ciò che conta è il lievito, il principio del fermento. Dio è vivace, intraprendente, inventa ciò che l’amore suggerisce, dà sapore e senso alla vita.

Siamo pienamente implicati nel conciliare il Gesù in cui crediamo, di cui ci nutriamo con la nostra esistenza, nel continuamente calibrare quel che Gesù ci chiede e ci dice con la nostra vita: è necessario fare il bilancio tra fede e vita. I santi, com’è noto, avevano più fede che vita: tutto quello che avevano, il capitale vita, lo hanno speso e sono morti pensando che potevano fare ancora di più. Il nostro bilancio fede-vita invece spesso è segnato dalla tendenza a ritualizzare il nostro legname con Dio, cioè a pensare che basta garantire a Dio che certe cose le faremo: alla messa ci andremo sempre, pregheremo, ci confesseremo almeno una volta all’anno, faremo elemosine... Tutto questo va bene, però dobbiamo stare attenti perché il verbo ritualizzare, che è il verbo della fedeltà, rischia anche di essere il verbo della secchezza.

Ritualizzare è un atteggiamento psicologico che ci porta a fare quello che si è programmato e ci fa perdere due capacità che invece sono essenziali per il cristianesimo: lo stupore di chi accoglie Dio e l’entusiasmo di chi risponde a Dio.

Giotto, Gesù dinanzi a Caifa

 

tratto da un incontro all’Arsenale della Pace
testo non rivisto dall'autore

 

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