Presente e futuro

Pubblicato il 16-12-2022

di Stefano Caredda

E così, dopo un’anomala estate di campagna elettorale, chiuderemo il 2022 con un nuovo parlamento e un nuovo governo, in un autunno difficile per tutti: le bollette che salgono, i timori che avanzano, le preoccupazioni che si fanno largo in una grande parte della popolazione italiana.
Sarà importante, per il nuovo esecutivo, governare con un occhio al breve periodo, perché c’è bisogno di risposte veloci e immediate, e al tempo stesso con un occhio al lungo periodo, perché ogni soluzione non potrà non tenere conto anche della necessità di preservare il futuro di chi verrà dopo di noi.

In quest’ottica, dare uno sguardo alla fotografia del Paese che saremo fra qualche decennio non è un semplice esercizio di stile: è un modo per vedere dove stiamo andando e cosa stiamo diventando. Un modo per prendere consapevolezza e imparare qualcosa di noi stessi. Certo, nessuno ha la palla di vetro e si tratta solo di previsioni, ma i numeri dicono che sono previsioni più attendibili di quello che potremmo pensare. E d’altronde è un futuro che vediamo già nel presente: meno persone residenti, più anziani, famiglie sempre più piccole.

Nel 2021 eravamo in 59,2 milioni. Fra otto anni, nel 2030, saremo 57,9 milioni. Nel 2050 in 54,2 milioni. Nel 2070 in 47,7 milioni. In mezzo secolo si perderanno 11,5 milioni di residenti rispetto a oggi.
E si tratta, dicono gli statistici, di un dato “mediano”: la realtà potrebbe cioè essere migliore di così, ma potrebbe anche essere molto peggiore, disegnando un tracollo di proporzioni bibliche.

Le famiglie avranno un numero medio di componenti sempre più piccolo: meno coppie con figli e più coppie senza.
La denatalità in cui già da tempo siamo immersi fino al collo manifesterà tutte le sue conseguenze e il numero delle nuove nascite continuerà a rimanere terribilmente basso rispetto al passato.

Perfino nello scenario che contempla una crescita della fecondità da 1,25 figli per donna nel 2021 a 1,55 nel 2070, il massimo delle nascite sarebbe fissato nel 2038 a quota 424mila unità, per poi decrescere in ragione del minor numero di donne che a quel punto saranno in età fertile.
Neppure negli scenari di natalità e mortalità più favorevoli il numero previsto di nascite arriverebbe a compensare quello dei decessi. Il danno ormai è fatto, verrebbe da dire.

Il rapporto tra individui in età lavorativa (15-64 anni) e non (0-14 e 65 anni e più) passerà da circa tre a due nel 2021 a circa uno a uno nel 2050. Anno in cui gli over 65 saranno il 35% della popolazione (boom della richiesta di assistenza) e vi saranno oltre 10 milioni di persone sole.
E sia chiaro, a scanso di equivoci: i flussi migratori non potranno controbilanciare il segno negativo della dinamica naturale.

Tutti questi numeri (fonte ISTAT) raccontano la necessità di governare, fra gli altri, i conseguenti effetti sul mercato del lavoro, sulla programmazione economica e previdenziale, sul mantenimento del livello di welfare necessario al Paese. Governare, per quanto sia terribilmente complicato, con un occhio al presente e uno al futuro.
Un’esigenza che troppo spesso è stata dimenticata.
 

Stefano Caredda
NP ottobre 2022

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