Poveri di sentimenti

Pubblicato il 27-03-2019

di Gabriella Delpero

di Gabriella Delpero - Alla ricerca del giusto equilibrio tra se stessi e gli altri.

Perché in molte famiglie di oggi le relazioni tra genitori e figli si fanno sempre più difficili? Cosa rispondere a quei genitori di ragazzi violenti e bulli, con gravi disturbi del comportamento o – peggio ancora – intrappolati nel vortice dell’autodistruttività (dipendenze, autolesionismo, anoressia, fobie sociali…) che si domandano disperati dove hanno sbagliato, quali errori hanno forse inconsapevolmente commesso per arrivare a conseguenze così tragiche? Il disastro di oggi quali radici ha? Nella vita di alcune famiglie sembra esserci stata infatti un’amara trasfigurazione delle cose: la gioia di vivere annunciata dalla nascita di quel bambino degenera in angoscia per il timore della sua perdita. Si passa in pochi anni dalla speranza alla disperazione, dalla luce al buio, dalla promessa alla delusione.

Facciamo un passo indietro: oggi si attribuisce profonda importanza alle relazioni umane in generale e certo quelle tra genitori e figli sono fra le più delicate. Ma che cosa s’intende per relazione? Tutto sembra diventare chiaro se al sostantivo relazione si accosta l’aggettivo “affettiva”. Generalmente il termine affettività viene oggi utilizzato per indicare l’insieme delle emozioni e dei sentimenti che ciascuno di noi può provare. Occorre però fare una chiara distinzione tra emozioni e sentimenti.

Si tratta infatti di due entità molto diverse tra loro. Le emozioni sono delle risposte individuali che fanno seguito ad uno stimolo, di solito in modo immediato. Gli stimoli possono essere di natura decisamente differente e provenire da altri uomini, ma anche da animali, da oggetti, da immagini. Le emozioni sono di breve durata, cioè durano finché dura lo stimolo che le ha suscitate. Le emozioni negative poi – come paura e rabbia, per esempio – sono molto potenti nello sconvolgere chi le prova e spingerlo a reagire nell’immediato, magari in modo scomposto o violento o dannoso.



I sentimenti, al contrario, sono lente modificazioni del proprio modo di essere e di sentire nei confronti di un’altra persona (o anche di un gruppo o dell’intera società) e portano allo stabilirsi di legami reciproci. E questi legami rimangono attivi anche quando una delle due persone non è presente e non ci sono in quel momento interazioni dirette fra loro. Per esempio Internet e i social (come un tempo libri e film) sono in grado di provocare emozioni, anche forti, ma non di stabilire dei legami attraverso il sentimento. Il sesso ridotto a un oggetto-stimolo mette senz'altro in moto potenti emozioni, ma non suscita sentimenti travolgenti.

Ora chiediamoci: al giorno d’oggi nelle relazioni affettive familiari si mette l’accento più sulle emozioni o più sui sentimenti? Nei rapporti tra genitori e figli cosa prevale? La risposta è importante, soprattutto perché spesso emozioni e sentimenti non stanno insieme, sono in contraddizione, si combattono o si annullano. Se vengono più o meno involontariamente confusi, possono portare a errori o magari inutili sofferenze.

A me pare di osservare che la vita quotidiana dei ragazzi di oggi è ricchissima di emozioni, ma povera di sentimenti. I giovani cercano emozioni sempre più forti (la famosa adrenalina…), ma fanno fatica a stabilire legami sentimentali solidi o vere amicizie. E pochi sembrano in grado di distinguere quando dentro di loro si agita un’emozione e quando invece sta nascendo un sentimento («mi piace quel ragazzo/quella ragazza, ma non so proprio se sono innamorata/ innamorato…»). Insomma, le emozioni definiscono ormai la stessa identità dei singoli individui («io sono un tipo impulsivo, sono fatto così…», «io mi arrabbio facilmente, è la mia caratteristica principale, lo dicono tutti… », «io quando mi contraddicono divento una iena...»). Molti genitori sono quindi arrivati alla conclusione che il massimo del successo dipenda dalla loro capacità di accogliere, rispettare, condividere i bisogni emotivi dei figli.

E il loro fine ultimo è quello di accompagnarli a “star bene con se stessi”, incontrastato vero imperativo di quel che resta oggi dell’educazione (inutile aggiungere che l’amore per se stessi non viene certo più percepito come narcisistico, ma è assurto alla dignità di un incontestabile diritto...). Il problema è che un’identità basata sulle emozioni è a dir poco sfuggente, fluida, instabile. Quindi molto difficile da definire e ancor più da consolidare. Non per niente si parla continuamente oggi della fragilità di adolescenti e giovani, riferendosi appunto al loro stato emotivo.

Conclusione? Ogni epoca e ogni cultura propongono una diversa interpretazione della natura umana, delle potenzialità e dei limiti degli uomini. Per decenni i nostri predecessori hanno considerato l’autocontrollo, il dominio delle emozioni, la forza della razionalità come il fondamento della società civile. E gli esseri umani erano definiti più in base a ciò che facevano e ai traguardi che raggiungevano, che a quello che provavano. Forse anche troppo. Ora le parti si sono invertite. Forse anche troppo.

Credo si debba ricercare insieme un nuovo equilibrio, in cui una sana attenzione verso se stessi non allontani l’individuo dalla cura dei legami con gli altri, dal rispetto dovuto ad ogni persona, dalla tensione verso il bene comune e dalla riconoscenza verso quanto di bello la vita sa offrire a ciascuno.

FOTO: MAX FERRERO e RENATA BUSETTINI – MILLENNIALS #2018enni Reynaldo Tejada Calderon

Gabriella Delpero
NPFOCUS IO E TE

 

 

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