Potrebbe essere Dio
Pubblicato il 27-10-2024
Mario Marsili oggi ha 86 anni, ma resterà per sempre uno dei bambini di Sant’Anna di Stazzema. Quella manciata di vite scampate a uno dei più gravi eccidi nazifascisti avvenuti nel nostro Paese. Era il 12 agosto del 1944, 80 anni fa. Sant’Anna era un pugno di borgate di montagna alle pendici della Alpi Apuane, luogo di rifugio per centinaia di sfollati: la Linea Gotica vicina, gli ultimi colpi di coda di una guerra destinata ormai a finire, l’abisso dell’uomo ammantato di ragioni strategiche. Perché di abisso si trattò: 560 civili, soprattutto vecchi, donne e bambini rastrellati, mitragliati, finiti e poi dati alle fiamme dalle SS tedesche e da collaborazionisti italiani.
Anche Mario avrebbe fatto la stessa fine, se non fosse stato per sua mamma Genny, che all’epoca aveva appena 28 anni. I nazisti li avevano rinchiusi in una stalla insieme ad altri civili. Porte di entrata e di uscita chiuse e fieno ovunque: il resto lo avrebbero fatto le mitragliatrici e i lanciafiamme. Così avvenne, ma Genny ebbe la lucidità di proteggere Mario, che oggi in un’intervista a Il Tirreno ricorda: «Dietro alla porta d’ingresso della stalla, in alto, c’erano due pietre sporgenti sulle quali i contadini poggiavano i propri arnesi. Mi sollevò e mi mise seduto lì. “Non ti muovere”, mi disse, “rimani qui”. Ci rimasi otto ore».
«Cominciarono ad arrivare tedeschi con i fucili, le pistole, i lanciafiamme. Le persone cercavano di scappare dalla stalla, ma loro le rintuzzavano dentro. Vidi mia madre con una ferita alla testa, era molto vicina a dove mi trovavo io. Ebbe paura che i tedeschi mi notassero e così, con l’unica arma che aveva, attirò l’attenzione su di sé: si tolse uno zoccolo e lo lanciò contro i suoi carnefici. Le spararono immediatamente: la vidi accasciarsi e morire, senza poter fare niente». In pochi minuti, i tedeschi uccisero tutti e poi appiccarono le fiamme. «Coi miei occhi ho visto i corpi bruciare, finché il fuoco raggiunse anche me: riportai ustioni di terzo grado al collo, al braccio e alla schiena. Il dolore era lancinante: a un certo punto non riuscii più neanche a urlare, a chiedere aiuto. Ma la sera qualcuno della gente del posto, venuta a vedere se ci fossero superstiti, sentì i miei gemiti. Ero ancora su quelle pietre. Mi presero».
Sembrava un caso disperato, eppure Mario oggi è ancora qui con la forza della sua testimonianza e una storia che commuove. Genny, per volere del presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ha ricevuto la medaglia d’oro al merito civile come “nobile esempio di amore materno spinto fino all’estremo sacrificio”.
Genny e tanti esempi come lei sono luci negli abissi della storia. Forse flebili, apparentemente insignificanti e sopraffatte, quasi una costante. Eppure, indicano una dimensione molto più grande. Genny potrebbe essere Dio che non smette di sperare, che non si arrende di fronte alla barbarie, che continua ad amare senza misura con cuore di madre. Sempre e comunque. Perché Dio è fatto così. E come scrive Renato Zero in una sua canzone poco conosciuta, non vive sulla Luna, ma in questa terra che trema.
Matteo Spicuglia
NP agosto / settembre 2024