Più noi, meno io

Pubblicato il 08-12-2018

di Gabriella Delpero

di Gabriella Delpero - Non si può essere felici da soli: neanche in famiglia.
Se si leggono interviste e sondaggi sulla famiglia, sul suo ruolo nel mondo di oggi, sulla percezione che ne hanno ai nostri giorni adulti e ragazzi, non si potrebbe che dirsi ottimisti: la famiglia è ancora sentita dalla maggioranza come il luogo della sicurezza, del rifugio, del sostegno per la propria vita. È per eccellenza il luogo dell’amore. Eppure è altrettanto vero che mai come oggi la famiglia è apparsa così fragile: i legami vanno a pezzi, le rotture coniugali sono sempre più frequenti, le tensioni aumentano, le conseguenze negative sui figli dilagano. Uno studioso di statistiche – Roberto Volpi – ha inoltre messo in evidenza che «c’è una sola tipologia di famiglia, in Italia, che cresce: quella unipersonale, costituita da una sola persona. Più di otto milioni di persone vivono da sole, e rappresentano il 32% delle famiglie italiane». Come spiegare questi dati così contrastanti?

Forse oggi il prevalere di ogni forma di individualismo, il diritto alla realizzazione immediata di ogni desiderio, la dimenticanza dei doveri, la ricerca insaziabile del proprio tornaconto personale, stanno semplicemente trasformando la famiglia in “cellula base per l’individuo” (più che “cellula base della società”, come era considerata in passato). Le singole persone ritengono cioè che la famiglia continui ad avere un grande valore, ma fino a quando esaudisce le richieste e risponde alle attese dell’individuo. Sembra rimanere il luogo della sicurezza e del rifugio, ma dell’Io, non del noi.

Pare restare una forma di sostegno, ma per individui sempre meno solidi. Insomma, la famiglia «appare sempre più come un insieme di individui, ciascuno dei quali decide per proprio conto il suo percorso di vita. E tiene fino a che i singoli percorsi di vita restano compatibili fra di loro» (V. Paglia, Il crollo del noi, Laterza). Sono infatti sempre più frequenti i casi in cui una divergenza di coppia, un’incomprensione, un differente modo di intendere il ruolo genitoriale, diventano rapidamente fratture insanabili, voragini in cui precipitano rovinosamente sogni e progetti, promesse e speranze. Incompatibilità è spesso il termine con cui si definisce una comunicazione difficile, un chiarimento faticoso, un irrigidimento rabbioso.

L’idea della rinuncia, anche solo temporanea, alle proprie posizioni o alle proprie ragioni appare incompatibile con la felicità del singolo (…di qui alla decisione di sciogliere i legami per riacquistare la propria libertà il passo è breve…). Il problema è che questa corsa alla felicità personale è oggi destinata al fallimento, semplicemente perché la felicità non è mai una faccenda privata. L’uomo per sua natura è un essere sociale, portato a vivere con gli altri. Questa caratteristica vale anche per l’uomo che cerca di essere felice: non può sperare di divenirlo da solo. Felicità e solidarietà, felicità e amicizia sono strettamente legate. Niente più delle parole di una bimba di soli quattro anni lo possono dimostrare.

Un mattino, alla domanda di una coetanea della scuola materna sul perché del suo “muso triste” ha risposto: «E come faccio ad essere contenta se la mia mamma è sempre buia?». «E perché la tua mamma è buia?». «Non lo so… forse non ha messo gli occhiali come quelli di papà». «E come sono fatti gli occhiali di tuo papà?». «Sono rossi e sembrano palloncini, ma io non li posso toccare perché se cadono si rompono… da grande li metto anch’io, così vedo bene la luce e divento contenta ».

Gabriella Delpero
PSICHE
Rubrica di NUOVO PROGETTO

 

 

 

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