Per sempre
Pubblicato il 24-10-2024
«La bontà è l’unica chiave per incontrare e dialogare con l’uomo» (dalla Regola del Sermig). Non bastano le parole perché ci sia un incontro tra persone e nasca un dialogo autentico.
Bisogna che le parole trasmettano bontà: occorre ascoltare l’altro con il cuore libero da pregiudizi, comprendere le sue ragioni, aver sciolto i sentimenti negativi come il rancore, non essere attaccati alle proprie idee, voler vincere a tutti i costi e tanto altro. Il dialogo è una dimensione del cuore, è una scelta dell’intelligenza e insieme orientano la volontà. Solo così il dialogo realizza pienamente un incontro e, quando le parole di un dialogo non dividono, realmente ci si avvicina e ci si unisce.
Tutto questo lo sappiamo bene e ce lo ripetiamo sovente. Sappiamo bene che bisogna cominciare da noi, cominciare dai più vicini, dalle persone con cui facciamo fraternità. Anzi le regole del dialogo sono le regole della fraternità che cerca di fare suo il Vangelo e di viverlo in prima persona. Ci proviamo e ci riproviamo, ma come dice san Paolo «c’è in me il desiderio di bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti, io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rom 7, 18-20) e spesso i nostri sforzi risultano fallimentari, proprio tra noi che più ci crediamo.
Collezioniamo fallimenti che ci scoraggiano, ci danno insicurezza, tolgono la voglia di provarci, tanto «non ce la faremo mai».
Spesso le nostre fatiche di convivenza e di dialogo nascono da desideri buoni (difendere idee che riconosciamo come importanti o migliorare situazioni difficili), ma si trasformano in richieste e pretese che creano muri e divisioni.
O può succedere che il nostro modo di porci esprima bisogni di cui non siamo nemmeno consapevoli, ma che non si incontrano con le disponibilità dell’altro, fino a generare autentici scontri.
In questi giorni pensavo proprio alla fatica che facciamo, pur credendoci e mettendoci tutto l’impegno possibile. Mi chiedevo cosa potesse aiutarci, cosa potesse restituirci la motivazione per ricominciare sempre. Mentre ci riflettevo è passato su una chat un testo dal testamento di Chiara Corbella (foto) per suo figlio Francesco: «lo scopo della nostra vita è amare ed essere sempre pronti a imparare ad amare gli altri come solo Dio può insegnarti. Qualsiasi cosa farai avrà senso solo se la vedrai in funzione della vita eterna.
Se starai amando veramente te ne accorgerai dal fatto che nulla ti appartiene veramente perché tutto è un dono. Sei speciale e hai una missione grande. Il Signore ti ha voluto da sempre e ti mostrerà la strada da seguire se gli aprirai il cuore. Fidati, ne vale la pena».
«Qualsiasi cosa farai avrà senso solo se la vedrai in funzione della vita eterna». Ho provato a rileggere la mia giornata con questa chiave: di quello che ho pensato, detto, fatto, cosa porterò con me per la vita eterna? Di un incontro, un dialogo, una discussione, un silenzio, cosa porterò con me per la vita eterna? Cosa davvero conta, cosa davvero serve a me, all’altro, alla fraternità? Cosa serve ai più poveri, cosa serve alla pace?
In questi giorni mi sono allenata con queste domande e ho provato a domandarmi cosa resterà di ciò che vivo nel per sempre. Mi sono accorta che questo pensiero sposta le priorità, aiuta a cercare l’essenziale, dispone mente, cuore, volontà a comprendere l’altro e ad andargli incontro. Forse tenere lo sguardo fisso sulla vita che non muore ci può davvero aiutare a scegliere di volta in volta su cosa conta davvero investire le nostre energie. Ci può davvero aiutare a indirizzare il dialogo tra di noi su ciò che esprime amore, la sola cosa che conta, la sola cosa che portiamo con noi per sempre. Perché di tutto quello che abbiamo fatto alla fine della vita vedremo solo se e quanto abbiamo amato!
Rosanna Tabasso
NP giugno / luglio 2024