Parole

Pubblicato il 18-09-2022

di Renzo Agasso

Il 23 maggio, da trent’anni, è il giorno di Falcone. Celebrazioni, ricordo, commozione. Discorsi. Doverosamente. Guai non fosse così. Le parole dei tanti che l’hanno amato. O avversato. Oppure – anche – odiato e combattuto. Giusto prestarvi l’attenzione che meritano.

Meglio ancora sarebbe tacere. E riascoltare – rileggere – le parole di Falcone.
Per esempio queste, dal suo libro Cose di Cosa nostra.
«Noi del pool antimafia abbiamo vissuto come forzati: sveglia all’alba per studiare i dossier prima di andare in tribunale, ritorno a casa a tarda sera. Nel 1985 io e Paolo Borsellino siamo andati in vacanza in una prigione, all’Asinara, in Sardegna per stendere il provvedimento conclusivo dell’istruttoria del maxiprocesso.
Non rimpiango niente, anche se a volte percepisco nei miei colleghi un comprensibile desiderio di tornare alla normalità: meno scorte, meno protezione, meno rigore negli spostamenti. E allora mi sorprendo ad aver paura delle conseguenze di un simile atteggiamento: normalità significa meno indagini, meno incisività, meno risultati. E temo che la magistratura torni alla vecchia routine: i mafiosi che fanno il loro mestiere da un lato, i magistrati che fanno più o meno bene dall’altro il loro, e alla resa dei conti, palpabile, l’inefficienza dello Stato. Sarebbe insopportabile risentire nel corso di un interrogatorio l’ironia e l’arroganza mafiosa di una volta! Professionalità nella lotta alla mafia significa anche avere la consapevolezza che le indagini non possono essere monopolio di un’unica persona, ma frutto di un lavoro di gruppo. L’eccesso di personalizzazione è il pericolo maggiore delle forze antimafia, dopo la sottovalutazione dei rischi. Penso al generale Dalla Chiesa. Era solo. Non ha avuto il tempo né alcuno lo ha aiutato a prendere pienamente coscienza della potenza militare raggiunta dalla mafia».

Quanti insegnamenti, per chi voglia raccoglierli.
E poi quelle ultime sei righe del libro.
Profetiche e terribili.
«Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere».

Se – oltre a celebrarlo – si ascoltasse di più Falcone. Tutti: magistrati, politici, cittadini. Queste sono parole bagnate di sangue. Dunque autentiche, sincere, preziose. Non solamente un giorno all’anno.


Renzo Agasso
NP maggio 2022

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