PADRE NOSTRO: la via dell'amicizia

Pubblicato il 25-01-2021

di Riccardo Bonacina

Giornalista, direttore editoriale di VITA, un laico ripercorre la preghiera del “Padre nostro”. E racconta di una Paternità che non si riduce mai ad una patria potestà.
 

di Riccardo Bonacina
E’ commovente l’amicizia tra Gesù e i suoi discepoli, un’amicizia che è cresciuta sulle strade di Palestina 2000 anni fa, un’amicizia così marginale, per numeri e per geografia e che pure ha cambiato il mondo e le vite di milioni di uomini sino alla mia. Il significato del nostro stesso esistere ha scelto un’amicizia tra uomini per farsi presente a noi. Un’amicizia in cui veniva naturale discutere, chiedere, dubitare, appassionarsi. Esattamente come capitò quel giorno: erano da poco arrivati a Gerusalemme dalla Giudea, abitavano fuori dalla città, per prudenza, si riparavano in alcune grotte sulla collina. Ecco il resoconto di Luca: “Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: Signore, insegnaci a pregare”. Il “Padre nostro” nasce con questa semplicità possibile solo in una vera amicizia, nasce come risposta a una domanda, ad una richiesta, vera.
E il Padre nostro indica la via dell’amicizia, dell’amicizia come metodo di conoscenza e dell’amicizia come fraternità vissuta.

Padre nostro
La prima frase della preghiera che Gesù insegna ai suoi amici dice tutta intera la condizione che rende possibile un’amicizia vera, cioè liberata dall’interesse e perciò dal reciproco “uso”. Un’amicizia libera e davvero gratuita è percezione di un comune destino, di una comune paternità. Padre nostro, c’è forse un’altra origine possibile della percezione di un’umana fratellanza? Senza pronunciare questo incipit che resta delle nostre relazioni? Forse, solo un reciproco sfruttamento o una deriva concentrazionaria. Padre nostro, se le nostre giornate iniziassero con questo incipit, se il nostro sguardo sull’altro avesse questo incipit, la fratellanza si farebbe strada.
Che altra origine aveva, del resto, quell’amicizia palestinese che ha raggiunto anche noi attraverso i secoli? Che diceva Gesù di sé? Non parlava di se stesso, ma diceva: “Io sono il mandato dal Padre”. Mandato a far che? Mandato per che cosa? Perché fosse reso noto il Mistero della vita, della nostra vita, perché fosse resa possibile a ogni uomo la vita eterna, una vita che duri. “Questa è la vita eterna: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo”.
O è vero o non è vero. Se non è vero c’è il nulla, il niente, l’inimicizia e la guerra. Padre nostro, c’è altra sorgente possibile di pace se non questo comune segno di creaturalità, questo riconoscimento di una comune sorgente? Padre nostro, solo pronunciando questo incipit la vita diventa possibilità di dialogo fra tutti e con tutto. Il dialogo è tutto dentro il dramma della relazione tra il mio io e il Tu detto al Padre, tra il mio io e la possibilità di riconoscermi nel tu che mi sta di fronte.

Che sei nei cieli
Padre nostro che sei cieli, ovvero, che abiti nel profondo di tutte le cose e nel profondo del nostro stesso cuore. I cieli stanno nel profondo, nel cuore stesso della ragione del nostro esistere, del nostro comune essere al mondo.

Sia santificato il tuo nome
Sia santificata, cioè onorata, questa sola appartenenza, l’unica appartenenza che non divide ma unisce. L’unica appartenenza che ci fa liberi dai poteri. Non abbandonarci agli idoli, alle nostre scorciatoie, alle nostre mangiatoie, alle nostre galere. Sia santificato solo il tuo nome, il nome della Paternità che ci fa liberi da ogni supposta autorità. Una Paternità che non si riduce mai ad una patria potestà.

Venga il tuo regno
Venga il tuo regno, Padre, cioè che Tu sia riconosciuto da me e da tutti. Riconosciuto perché questo mondo sia più umano. Venga il tuo Regno e non un altro qualsiasi o un qualsiasi impero, venga il Regno tuo, quello della pace. Che in noi, nei nostri rapporti, tra le nostre braccia che si stringono, tra le nostre mani che si tendono le une verso le altre, nelle nostre famiglie, e tra le nostre famiglie, nella nostra comunità, e verso le comunità di tutti gli uomini, la pace avvenga nel comune riconoscerti. La pace, infatti, è data dall'incombenza del volto buono del Mistero che abbraccia ogni uomo, ogni creatura. Il tuo Regno, ovvero la pace che si fa largo sulla terra.

Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra
Che i cieli conquistino un po’ di terra, che il senso conquisti un po’ di niente. Sia fatta la tua volontà e non la nostra perché è il tuo sguardo che ricomprende ogni sguardo, mentre il nostro esclude gli altri sguardi. Eppure, Padre, la tua volontà si affida alla nostra libertà, la tua volontà si affida alla nostra fragile volontà. È una grande decisione quella di essere insieme per costruire una fraternità, la fraternità di uomini che riconoscono come scopo della vita il volto buono del Mistero.
Per tutto questo è grande ogni momento ed ogni istante, perché la tua volontà chiama in causa la nostra. Padre nostro, facci sentire e assaporare, qualunque sia lo stato d'animo in cui ci troviamo, questa sfida eterna che passa da noi. Facci sentire quanto tu ha deciso di affidarti a noi.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano.
Liberaci, Padre, dagli affanni dell’accaparramento, dalla carogneria dell’arricchimento. Liberaci dalla schiavitù dei bisogni materiali, facci essere più leggeri e con lo sguardo largo. Come il tuo che guarda a tutti. Suggerisci a noi uno sguardo riconoscente. Facci capire come nulla ci è dovuto e come ridicole sono le somme dei nostri sforzi. Padre nostro, fa’ che nessuno dei tuoi figli si veda privato dei frutti della terra e del lavoro, fa’ che nessuno sia privo di lavoro; che nessuno soffra più l'angustia di non avere il pane quotidiano per sé e per i suoi cari. Fa’ che sappiamo allargare la tavola per far posto ai più piccoli ed ai più deboli, e ringraziare per quello che abbiamo. E il grazie è già condivisione. La tavola è il luogo della fraternità

Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori.
Scrive Hannah Arendt: “E’ necessario che il peccare sia perdonato, tralasciato, per consentire alla vita di proseguire. Il perdono si rivolge alla persona, non all'azione; rivolgendosi a qualcuno e non a qualcosa, il perdono si rivela come atto d'amore. Si perdona tenendo conto della persona. Mentre la giustizia esige che tutti siano uguali e pesa le azioni, la misericordia insiste sulla diseguaglianza, e valuta le persone”. Rimetti a noi i nostri debiti, concedici questa disuguaglianza, concedici questo amore del tutto gratuito e unilaterale. Come recita un’antifona della liturgia ambrosiana, “Non guardare ai nostri meriti ma alla tua misericordia”, perché solo così ci liberi, Padre, dalla schiavitù dell’errore e del male come orizzonte ultimo del nostro agire. Rimetti a noi i nostri debiti e liberaci dalla schiavitù del nostro limite che in ogni istante sperimentiamo, affinché anche il nostro giudizio rimanga sempre aperto al perdono. Affinché la disuguaglianza che ci concedi la impariamo e possiamo anche noi concederla a chi ci si fa incontro. Non guardare i nostri meriti e facci guardare gli altri liberi da misure.

Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male.
Questo avvenimento necessario al vivere personale e sociale, l’avvenimento di questo perdono, è continuo nello sguardo del Padre: per questo la non schiavitù dal peccato, implica il fatto che il nostro errore non ci tiene mai sotto di sé, non siamo più schiavi neppure del nostro male, che è la peggiore, perché più intima, schiavitù. L’avvenimento di questo perdono è continuo, tanto da farci chiedere con tutto il cuore, desiderare con tutto il cuore, che il Padre ci “liberi anche dalla tentazione”. Il male rimane male, anzi è soltanto in questo contesto che lo capiamo. Dentro lo sguardo che ci perdona noi capiamo cos’è il male e il peccato. E lo comprendiamo subito, cos’è il male ed il peccato, perché, come dice quel genio dello spirito che è san Bernardo, “unde anima dissimilis Deo, unde dissimilis et sibi”, là dove l’anima si fa dissimile dallo sguardo del Padre, diventa dissimile da se stessa. Cioè, non c’è opposizione tra l’amor di Dio e l’amor di sé.
Così come il Padre nostro ci indica questo percorso, non c’è più opposizione tra amor di sé e amor dell’altro da sé.

Riccardo Bonacina
da Nuovo Progetto dicembre 06
PADRE NOSTRO/1: Perché ''Padre''?
PADRE NOSTRO/2: Preghiera: respiro dell'anima
PADRE NOSTRO/3: Dacci oggi il nostro pane quotidiano
PADRE NOSTRO/4: Somiglianza e dissomiglianza con Dio

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok