Padre Nostro

Pubblicato il 31-05-2013

di Elena Goisis

di Elena Goisis - “Tutte le parole del Vangelo sono parole scritte per noi, possibili da vivere, altrimenti Gesù non le avrebbe pronunciate”: su questa fiducia profonda in Gesù, 48 anni fa, Ernesto Olivero fonda il Sermig insieme a sua moglie Maria. Nella mente di Ernesto e dei suoi primi amici, il rapporto con Gesù non è qualcosa di esclusivamente privato, da vivere solo tra i banchi di una chiesa o tra le mura di casa. I problemi del mondo urgono, la società occidentale sta scoprendo proprio in quegli anni l’enorme ingiustizia dei morti per fame. Le Parole di Gesù diventano subito indicazioni per un impegno concreto. Perché l’amore a cui invita non è un buon sentimento, è dar da mangiare agli affamati, vestire gli ignudi, ospitare i forestieri… E il Sermig è nato per amare come e con Gesù.

Parte così l’impegno a favore delle popolazioni povere del mondo, l’unico modo sincero per recitare il Padre nostro: nostro perché mio e tuo, di me italiano e di te africano, asiatico, latinoamericano, mediorientale… “Dobbiamo vivere semplicemente, perché altri possano semplicemente vivere” ci ha insegnato un giorno dom Luciano Mendes de Almeida, maestro d’amore per la nostra Fraternità.

Ma tutto ciò che di buono noi possiamo fare non attinge ad un patrimonio nostro, perché tutto, a partire dalla vita, ci viene da Dio. Il nostro fare e dare, ai fratelli ed alla società, è solo un restituire a Dio i doni che ci ha affidato perché li mettessimo al servizio gli uni degli gli altri.

La fede del Sermig si fa così restituzione: il meglio delle mie risorse e capacità 24 ore su 24 a servizio del bene comune e dei più poveri. Già, 24 ore su 24, perché il nostro Dio la sera e nelle feste non mette la segreteria telefonica: è sempre lì, in ascolto, sulla porta di casa con l’orecchio teso a cogliere i passi del figlio perduto che ritorna, o lungo la strada a cogliere il gesto della donna che gli sfiora il mantello per essere guarita, o tra la folla a preoccuparsi di dar loro da mangiare perché l’ora è tarda e non ne troveranno altrove. Così è il nostro Dio, così vogliamo essere noi.

Ecco perché gli Arsenali non hanno segreterie telefoniche ma turni sapienti, che permettono una disponibilità ininterrotta, e sulla porta dell’ufficio di Ernesto c’è scritto “entrare senza bussare”: perché chi ama, attende, con la porta del cuore già aperta, ogni occasione per poter aiutare un fratello, una sorella a tornare alla vita, a tornare a Dio.

“Pronto, Sermig” è la frase mille volte ripetuta, ogni giorno, al telefono ed alla porta dei tre Arsenali, grazie alla quale cerchiamo di vivere l’eucaristia: essere pezzo di pane che tutti possono mangiare, nutrire le fami del nostro tempo, riconoscenti perché Gesù nutre ogni giorno la nostra fame di senso e di pienezza.

Chi ama attende, dunque, ma a volte anticipa anche. Perché Gesù ci ha insegnato a leggere i segni dei tempi, a cogliere i bisogni ancor prima che vengano espressi: “Vuoi guarire?” chiede a chi non ha osato appellarsi a lui. La storia di segni ne offre fin troppi, ma la nostra comodità spesso rifiuta di coglierli. Chi desidera che il regno di Dio tra gli uomini sia la vera forma di governo su questa terra non si fa sfuggire i segnali di disagio, di derive pericolose per le vite delle persone e delle società.

Segnali che ormai da anni arrivano sempre più allarmanti dalle folle di giovani che il Sermig incontra: i più poveri dei poveri del nostro tempo, da quando gli adulti li hanno privati della possibilità di sperare in un mondo migliore e della capacità di impegnarsi per cambiarlo. Eppure, Gesù è molto severo con chi scandalizza un “piccolo”: suggerisce addirittura che gli venga messa una pietra pesantissima al collo e venga gettato sul fondo del mare. Perché chi porta un giovane sulla strada del male ammazza il futuro. “Voi potete fare cose più grandi di me” ha detto invece Gesù ai suoi discepoli, spronandoli a far vivere la speranza attraverso i fatti. È lui il Maestro che vogliamo far incontrare ai giovani nei nostri Arsenali: l’incontro più prezioso della nostra vita, quello senza il quale nessuno di noi sarebbe ciò che è, farebbe ciò che fa.

Che siamo consacrati o sposati, Gesù è la forza dei nostri passi quotidiani. E la preghiera continua è il nostro respiro a fianco di Gesù: “Pregare è restituire il tempo a Dio, desiderare che lui abiti nel nostro cuore, pensare e volere ciò che a lui piace” dice la nostra Regola.

Ernesto ricorda spesso, a questo proposito, l’esempio di Annalena Tonelli, incontrata all’inizio degli anni ‘90 nel deserto di povertà e fanatismo islamico della Somalia. Aveva il permesso di portare con sé, nascosta sul petto, l’ostia consacrata: era per lei l’unica presenza amica in un mondo di ostilità e di violenza. “Come fai a vivere qui?!” le chiese Ernesto. “Si resiste solo se ci si sente fortemente abitati” rispose lei.

Da allora, la spiritualità della presenza, l’attenzione continua al Dio che abita il nostro cuore e la vita dell’altro è la caratteristica della nostra Fraternità.

Speciale - La fede ha una mano in più 1/6

L’uomo e Dio, l’Occidente e la fede, l’indifferenza che si fa spazio specie tra i giovani. Ma le statistiche non rendono ragione ad una sete di Dio che continua ad esistere. C’è un vissuto di fede che scorre attraverso mille rivoli. In ogni angolo del mondo, in ogni piega del cuore, nonostante tutto. Percorsi di fede reali, concreti. Oggi, come ieri, possibili.

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