Ospite tra gli ospiti

Pubblicato il 07-11-2024

di Renato Bonomo

La visita del presidente della Repubblica all'Arsenale di San Paolo raccontata da padre Simone Bernardi della Fraternità del Sermig

Pertini, Scalfaro, Napolitano e, oggi, Mattarella, quattro presidenti della Repubblica che con le loro visite hanno riconosciuto come una comunità caratterizzata da una forte scelta spirituale non è mai un ostacolo alla vita civile di un Paese se mette al centro i più poveri, qualsiasi origine o identità abbiano… Anzi, la sua opera può assumere un enorme valore civile per il bene comune.

Con quale spirito la Fraternità del Sermig di San Paolo del Brasile ha accolto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’Arsenale della Speranza lo scorso 17 luglio? Quale messaggio volevate consegnargli?
Come fraternità abbiamo cercato di aprirgli una porta degli Arsenali che lui non aveva ancora conosciuto direttamente. Dopo Torino, Pecetto e Madaba, San Paolo mancava ancora a Mattarella e lui stesso aveva manifestato il desiderio di conoscere un arsenale di cui Ernesto Olivero gli aveva parlato molto. Subito abbiamo sentito una grande sintonia con lui.
Per noi poi è stato molto importante accoglierlo: non solo perché è il nostro Capo dello Stato, ma anche perché ha scelto di visitare proprio una casa di accoglienza come la nostra all’interno della sua visita istituzionale. Il Brasile sta vivendo una stagione politica di grande fermento e di oramai prossime elezioni amministrative. Proprio il tema delle persone di strada è di grande attualità politica ed è un tema profondamente divisivo. Il fatto che il più alto rappresentante di uno Stato straniero molto conosciuto come l’Italia abbia voluto conoscere una casa come la nostra ha permesso di mettere sotto i riflettori questa tematica, ha dato grande visibilità a una questione scomoda. In molti si sono stupiti che un politico così importante abbia scelto di andare a salutare proprio gli uomini di strada.
Dopo aver visitato il Museo dell’immigrazione – in omaggio ai 150 anni dell’immigrazione degli italiani in Brasile, ricevuti in massa in questa struttura tra la fine dell’800 e inizio 900 – il Presidente accompagnato dalla figlia Laura, è giunto all’Arsenale della Speranza, passando da una porta che divide una struttura che un tempo era un unico ambiente. È stato un modo molto simbolico per comunicare come quella migrazione italiana, che tanto ha portato alla crescita e allo sviluppo del Brasile, stia ora, attraverso la comunità del Sermig, restituendo a tante persone in difficoltà la possibilità di riprendere in mano la propria vita. Con la sua visita e con le parole del suo discorso così piene di umanità, il presidente Mattarella ha veramente riconosciuto la dignità dei nostri ospiti, persone che la società tiene spesso in minima considerazione, al limite del disprezzo.
La sua visita istituzionale è stata per noi quindi un atto di grande considerazione e difesa del lavoro che stiamo facendo: non solo in Brasile sentiamo discorsi in cui molti uomini politici minacciano valori come l’accoglienza e la solidarietà.

È successo come quando Pertini venne a inaugurare l’Arsenale della Pace nel 1984?
Proprio così. L’11 aprile del 1984, il presidente della Repubblica di allora, Sandro Pertini, venne a inaugurare un Arsenale che era ancora un rudere per difenderlo da chi lo voleva togliere al Sermig.
In un certo senso il presidente Mattarella ha fatto lo stesso per noi, per ricordare alla politica l’altissimo valore di ogni opera che metta al centro l’uomo e la sua dignità. Proprio un mese prima avevamo preparato una mostra fotografica per fare conoscere la storia di Ernesto e Maria Olivero e del Sermig e preparare la nostra gente a questo incontro e, tra le tante immagini, c’era proprio quella di Pertini. Lo stesso Mattarella, attentissimo a tutti i particolari, si è fermato davanti a quell’istantanea.
Un ideale passaggio di consegne che ci restituisce grande stupore e gioia perché persone importantissime si sono mosse per difendere una comunità impegnata per la pace e l’accoglienza.

Le iniziative sociali di ispirazione religiosa hanno un valore civile enorme per il bene comune. Che ne dici?
Incontri come questo con Mattarella sono per noi un grande mandato. Proprio dal Brasile ci viene una lezione importante. Dom Luciano Mendes ci ricordava sempre che occorre rimanere radicati costantemente nel Vangelo, ma – allo stesso tempo – essere prudenti. Non per timidezza o paura, ma per non confondere le persone. Noi siamo in Brasile e lo siamo da cristiani cattolici (in Brasile infatti bisogna specificarlo per distinguersi dalle altre denominazioni cristiane), ma con uno stile aperto verso tutti. Per noi è un elemento di grande libertà: i nostri interlocutori, soprattutto politici, lo sanno che alla base di tutto per noi c’è Dio, ma questo non significa fare una crociata, ma mettersi al servizio dei più poveri.

Che cosa ha lasciato agli ospiti la visita di Mattarella?
Con i nostri uomini di strada abbiamo dovuto preparare bene questo momento. Prima di tutto abbiamo dovuto spiegare che il presidente della Repubblica in Italia è diverso da quello del Brasile: non è eletto dal popolo, non è il capo del governo e – soprattutto – non è un uomo di parte. In Brasile sono abituati diversamente e la figura del Capo dello Stato è oggetto di antipatie o simpatie a seconda della propria apparenza politica. Loro erano un po’ disorientati, ci chiedevano se in Italia era amato o no. Noi gli abbiamo detto che è molto rispettato da tutti gli schieramenti, ma soprattutto è una persona buona, capace di dare equilibrio. Poco prima che il Presidente entrasse nel refettorio per incontrare 600 dei nostri ospiti, ho dovuto parlare loro perché si era diffusa la notizia che li avessimo messi in quel luogo per nasconderli alla vista del corteo. Purtroppo hanno pochissima stima di loro stessi o magari sono abituati a ricevere questo tipo di trattamento. Quando ho detto loro che invece il Presidente avrebbe incontrato proprio loro per primi, si sono sentiti protagonisti e molto orgogliosi.
Lo hanno accolto con partecipazione ed entusiasmo, come un ospite gradito: al presidente abbiamo anche dato un tesserino come ogni persona che viene ufficialmente accolta all’Arsenale. Era come se il presidente fosse uno di loro.
Così dalla diffidenza iniziale si è passati alla gioia: pensavano di essere gli ultimi e gli esclusi, sono diventati i primi a salutare il Presidente.

E alla fraternità cosa lascia?
Accanto alla figura istituzionale, ho visto una persona con le braccia aperte, desiderosa di incontrarci e rinnovare l’amicizia che ci lega. È stato veramente premuroso con ognuno di noi, come quando in un angolo si è fatto portare il telefono per chiamare Ernesto a Torino, mandando in tilt il protocollo e lo staff presidenziale.
È stato un grande dono. In un mondo come quello attuale, bisogna continuare a credere, nonostante la fatica, alla purezza e alla gratuità. Ci sono ancora delle cose che possono essere vere. Noi siamo stati testimoni di un incontro puro, autentico, senza secondi fini. Penso che tutti i partecipanti si siano resi conto di quanto stava accadendo intorno a loro. Anche chi non era presente, ma ha sentito i racconti o visto le foto, è riuscito a cogliere l’essenza dell’incontro che traspariva dalle parole, dagli sguardi e dai sorrisi. Una bellezza profonda di cui molti hanno nostalgia.
 


Una casa avvolta d'amore
Caro presidente, cari amici, autorità tutte, avrei voluto essere lì con voi, ma non mi è stato possibile. Sono presente comunque con la preghiera, il pensiero, il cuore. Lo stesso cuore che tanti anni fa, nel 1996, sussultò quando entrai per la prima volta nella vecchia Hospedaria dos Imigrantes di San Paolo.
Era la casa della quarantena degli immigrati che cercavano fortuna in Brasile, tra cui quasi un milione di italiani. L’Arsenale della Speranza nacque anche da quell’emozione, dal dolore di quella povera gente.
Come avvenuto all’Arsenale della Pace di Torino, abbiamo deciso di restituire un’anima a un luogo di dolore. Da subito lo abbiamo avvolto di preghiera, di determinazione, di amore profondo. Il resto è stato possibile grazie a tantissime persone, a chi di noi ha dato la vita, a chi ci ha aiutato, a chi ci ha sostenuto. Un nome per tutti: dom Luciano Mendes de Almeida, che ci ha tanto voluto bene e che, ne sono convinto, continua a volerci bene e a “proteggere” questa casa.
L’Arsenale della Speranza oggi è un segno concreto per restituire dignità a tanti uomini che qui hanno la possibilità di cambiare la loro vita. Cerchiamo di camminare con loro, al loro fianco diventando brasiliani con i brasiliani per cancellare, almeno nel nostro cuore, la convinzione che ci siano mondi diversi e separati.
Sogniamo un mondo unico dove ognuno ha le stesse opportunità, dove chi ha di più impara a condividere con chi ha meno, per giustizia e non per pena.
L’Arsenale è diventato un piccolo villaggio che vuole dare a tutti l’opportunità di vivere con dignità, con il grande desiderio che nel resto del Paese e del mondo accada la stessa cosa. Non è un sogno Oggi lo posso dire con tanta gratitudine e commozione: è possibile! Grazie di cuore!

Ernesto Olivero


Grazie per quello che fate
Vi ringrazio molto per questi regali, per questo ricordo straordinario che porteremo con noi.
Ma, in realtà, il regalo lo avevo già ricevuto visitando l’Arsenale, guardando quello che avviene, che già conoscevo e sapevo attraverso Ernesto. È una straordinaria condizione che unisce l’Arsenale di Torino a questo di San Paolo, così come a quello che c’è in Giordania. È una condizione che sollecita molto, particolarmente, tutti quanti. Perché parte da una convinzione di base che non dovremmo mai dimenticare: ciascuna persona – ciascun uomo, ciascuna donna – rappresenta un patrimonio irripetibile, unico al mondo.
E non c’è nessuno, nessuna persona che sia mai perduta davvero. E questa è la motivazione che ha spinto Ernesto, e tanti con lui, e qui tante persone – in Brasile vedo tanti volontari, tanti operatori – a impegnarsi in questa straordinaria avventura.
Grazie per quello che qui avviene. Non aggiungo altro, perché la parola che è sufficiente è soltanto grazie. Grazie per quello che fate.
Passare dall’Arsenale a Torino, come qui, è certamente, ogni volta, una lezione di umanità, che serve a chiunque mantenere con sé e portare e custodire. Grazie per quello che fate e per quello che avviene qui.
Auguri.

Sergio Mattarella


Renato Bonomo
NPFOCUS
NP agosto / settembre 2024

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