Nuovi scenari: La presidenza Trump e il Corno d'Africa

Pubblicato il 25-02-2025

di Paolo Lambruschi

Cosa succederà in Africa nei prossimi quattro anni di Donald Trump alla Casa Bianca? Provare a rispondere non è facile.
Nei suoi primi quattro anni alla presidenza degli Usa, dal 2016 al 2020, definì shithole – merdaio, per tradurre a un livello di civiltà superiore –, i Paesi africani più arretrati. Eppure solo il Sudafrica ha accolto male, con un calo di 3,5 punti sulla quotazione del rand, la moneta nazionale, il ritorno del miliardario al governo.

Forse qualcuno pensa che maga (Make America Great Again), il movimento trumpiano, sia l'acronimo di Make Africa (anziché America) Great Again.
Certo, Pretoria fa parte infatti dei brics, il gruppo di grandi Paesi che comprende tra gli altri Brasile, Russia, India, Iran e soprattutto la Cina che si prefigge di sostituire l'attuale sistema finanziario globale basato sul dollaro. E Trump nei prossimi quattro anni ha promesso di contrastare la Cina in ogni campo. Tra i membri del brics potrebbe, però, andare bene all'Etiopia considerata da Washington da sempre un baluardo di fronte al progetto dei Paesi del Golfo di islamizzazione del continente.

Fu il consigliere per la Sicurezza Nazionale, John Bolton, a favorire nel 2018 l'accordo tra Eritrea ed Etiopia sulla storica disputa di confine, uno dei conflitti più sanguinosi e prolungati dell'Africa intera che ha provocato esodi di giovani e sofferenze indicibili sulle rotte migratorie.
E fu Trump a favorire il premier etiope Abiy Ahmed Ali nella corsa al Nobel per la Pace, assegnatogli inopinatamente nel 2019. Nemmeno un anno dopo, lo stesso Abiy iniziava infatti una guerra civile di due anni alleato all'Eritrea con la regione autonoma del Tigrai conclusa nel novembre 2022, con una pace ancora instabile che ha impoverito il Paese andato in default. Se sosterrà l'Etiopia, tutta la situazione in Corno d'Africa, dove 30 milioni di persone sono a rischio fame, peggiorerà. Infatti probabilmente Trump ritirerà i soldati dalla Somalia, che pure ha fatto alcuni progressi nella lotta ai terroristi islamisti di Al Shabaab e potrebbe riconoscere il Somaliland, regione secessionista da Mogadiscio che ha siglato un memorandum di intesa con Addis Abeba per affittare il porto di Berbera e 20 km di costa per 30 anni e concedere l'agognato sbocco al mare al gigante etiope.

Ma questo sostegno all'Etiopia potrebbe inimicargli l'Egitto, Stato arabo e filo occidentale il cui fortissimo esercito è storicamente sostenuto da Washington e che sta portando soldati, armi e finanziamenti in Somalia in funzione anti etiope. Lo scontro per ora diplomatico tra Cairo e Addis Abeba riguarda la grande diga sul Nilo, le cui acque verrebbero utilizzate dagli etiopi per industrializzare il Paese a scapito dell'agricoltura egiziana. Sarà un importante test per la nuova amministrazione americana.
Che invece intende ribaltare il sostegno dato finora dagli americani all'esercito regolare sudanese a favore dei paramilitari delle rsf (Rapid Support Forces) aiutati dai mercenari di Putin dell'ex Wagner corporation. E la volontà di non intralciare Putin probabilmente porterà Trump a disinteressarsi del Sahel dove i russi hanno sostituito i francesi nella lotta ai jihadisti in cambio di oro e uranio.

Per tutte le altre aree, le linee prevalenti saranno il disinteresse nei confronti dell'Unione africana, privilegiando i rapporti bilaterali con Stati in posizione di debolezza. La scelta di disimpegnarsi dagli accordi di Parigi sul clima danneggerà poi ulteriormente i Paesi africani. Resta da capire se Washington taglierà o meno gli aiuti umanitari e colpirà con i dazi anche le giovani economie del continente.
A metà di un decennio perso per gli obiettivi di sviluppo come la scolarizzazione, la lotta a malnutrizione e malattie endemiche e l'aumento del reddito a causa del Covid, dei conflitti e del clima, la nuova presidenza rischia di aumentare le disuguaglianze mettendo un drappo scuro anche sul prossimo decennio.
 

Paolo Lambruschi
NP dicembre 2024

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