Nuova vita
Pubblicato il 05-11-2024
«Il risveglio del mondo a una nuova vita, necessaria e possibile, non può maturare che dal risveglio delle singole coscienze impegnate organizzarsi in strutture – tanto robuste quanto non violente – capaci di favorire la creatività personale e collettiva».
Così Danilo Dolci (1924-1997) sintetizza in un rapido passaggio l’importanza della consapevolezza e della coscienza nei processi di comprensione e cambiamento delle realtà sociali fondate sull’ingiustizia e la violenza. Dolci è stato uno dei più significativi pensatori italiani della nonviolenza.
Personalità poliedrica, triestino che decise di trasferirsi in Sicilia nel 1952, fuori da molti schemi e quindi difficilmente etichettabile, impegnato attraverso diverse forme di espressione per dare voce ai poveri, agli ultimi, ha cercato di promuovere la dignità delle persone, la loro effettiva partecipazione – come ci ricorda la stessa Costituzione all’art. 3 – «all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Pane, lavoro, democrazia, legalità e lotta alla mafia sono parole chiave per capire il suo pensiero e la sua azione.
Sempre dal basso. Sempre con la convinzione che le idee devono sporcarsi le mani, impastarsi con la vita, trasformarsi in attività capaci di cambiare il presente. Come nel gennaio del 1956, quando organizzò a Partinico in Sicilia uno sciopero alla rovescia. Con centinaia di disoccupati cominciò a lavorare per recuperare una vecchia strada abbandonata. Di solito con sciopero intendiamo l’astensione dal lavoro, ma come fa un disoccupato a scioperare? Ecco allora l’idea di scioperare lavorando.
Dolci e i suoi collaboratori furono arrestati per resistenza a pubblico ufficiale, disobbedienza alle leggi e invasione di terreni. Il processo che ne seguì permise a Dolci di denunciare la gravità dell’arretratezza siciliana, supportato anche dal sostegno di moltissimi intellettuali come Carlo Levi, Elio Vittorini, Giorgio La Pira, Norberto Bobbio. La sua testimonianza e il suo impegno colpirono molto tutti coloro che desideravano operare per la pace, il disarmo e la trasformazione nonviolenta della società.
Anche un giovane Ernesto Olivero volle coinvolgere Dolci nelle sue iniziative. In una lettera del 28 novembre 1973, Danilo Dolci rispondendo a un invito del Sermig lasciava questo breve ma significativo messaggio: «In un gruppo di contadini, stavamo riflettendo sull’assurdo spreco della guerra e sulla natura della pace.
Ciascuno si esprimeva. Si è domandato anche a un bambino di 5 anni di esprimersi: dopo aver pensato a lungo, in silenzio, ha concluso: “La pace è il contrario – non la mancanza, voleva dire – della guerra”».
Anche per il Sermig, in quegli anni, la mobilitazione per il disarmo era passata dall’aiutare le persone a costruire una mentalità nuova, fondata su una solida conoscenza della realtà.
Poche settimane dopo, il 21 gennaio 1974, Ernesto Olivero rispondeva che: «Fin dall’inizio dello scorso anno […] abbiamo cercato di prendere in esame e di affrontare i problemi della fame, dello sfruttamento, della casa, perché ci siamo resi conto che solo uniti riusciremo a ottenere qualcosa. E per questo, il 1° gennaio alla presenza di 3.000 persone […] abbiamo lanciato con quegli stessi gruppi il “movimento di opinione”: è stato l’inizio per un lavoro di sensibilizzazione contro la produzione delle armi che svilupperemo nei prossimi mesi perché siamo convinti che per affrontare i problemi, anche i grandi problemi, sia necessario coinvolgere la gente e far capire che si possono risolvere solo se tutti ne prendono coscienza e se ognuno, personalmente, impegna se stesso con la propria vita per affrontarli».
Spunti – in tempi come quelli attuali – a riprendere in mano un pensiero capace di costituire una valida alternativa a rapporti unicamente fondati sulla forza, la violenza, la sopraffazione. Con il suo metodo maieutico, Dolci ci ha provato per evitare di diventare, come diceva lo stesso “Gandhi della Sicilia”, «homo insapiens».
Renato Bonomo
NP agosto / settembre 2024