Nostalgia di futuro

Pubblicato il 12-03-2022

di Francesco Occhetta

Quando finisce un'epoca e ne inizia una nuova il tempo che passa ci affida una triplice sfida: abitare “la fine”, “il fine” e “il confine” del tempo. La “fine” segna ciò che non può più ritornare.
È l'esperienza delle piccole e grandi morti che includono paure e relazioni, progetti e scelte. Vederle fallite o irrealizzate è fare esperienza della fine. Quando qualcosa finisce o qualcuno muore, si è sempre in ritardo su quell'attimo, mancano sempre una parola da dire o una carezza da dare.

Il Paese ha capito la gravità del tempo quando nella notte del 18 marzo 2020 ha visto la foto scattata da uno steward dei mezzi militari che sfilavano per strada carichi di bare. Davanti a quella scena si è compreso che il cittadino adulto fonda la sua forza nella propria debolezza. È stato giusto politicamente non dare la possibilità di congedarsi dai parenti prima di morire? Quanto dolore silenzioso si è depositato nel corpo sociale? Con quali criteri la classe politica ha considerato quella scelta come giusta? I credenti, immersi in questo immenso dolore, non hanno abbandonato le prime linee negli ospedali, nei penitenziari e nelle scuole. In molti hanno pagato con il prezzo della vita, fedeli alla propria missione, altri invece si sono rifugiati in casa pensando solo a se stessi. I primi hanno aiutato a illuminare la notte, i secondi l'hanno solo allungata.

È un modo questo di vivere e pensare politicamente. Per questo, nel suo messaggio di fine anno (2020), il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha chiesto di ricostruire il Paese a livello morale e politico: «Ora dobbiamo preparare il futuro, non viviamo una parentesi della storia.
Questo è tempo di costruttori». C'è poi l'esperienza del fine, ovvero scegliere verso quale fine orientare la vita.

Percorrere una strada esclude tutte le altre possibili, se si vuole essere riformisti non si può essere conservatori. Scegliere verso dove camminare come popolo è progettare la vita di una comunità politica. La politica per il credente obbliga anche all'esperienza del confine, quella del già e il non ancora: si piange ma si può anche gioire; si vive in un mondo ingiusto e violento, ma esistono anche storie di giustizia e di pace; si muore ma si fa esperienza di vita eterna.
L'esperienza del confine anima anche la vita sociale e politica. L'alternativa ai potenti e prepotenti sono coloro che ricostruiscono il mondo senza fare rumore.
Il presidente della Repubblica ne sceglie alcuni in rappresentanza di molti, proprio a loro ha attribuito le 26 onorificenze al Merito della Repubblica.
Sono loro che dobbiamo guardare e che il giornalismo dovrebbe narrare.


Il tempo della crisi ha fatto emergere il bisogno di Dio e l'importanza della vita di fede che restituiscono alla vita politica il valore autentico del tempo.
Per i greci il tempo era il chrónos ma anche il kairós. Il primo scorre, il secondo è la dimensione in cui accade “qualcosa”. Chrónos è quantitativo, kairós ha invece una natura qualitativa, è il tempo delle scelte, quando la luce entra nelle tenebre e permette di distinguere il bene dal male.
L'ansia diffusa, le paure e la ribellione del corpo sociale emergono quando si vive passivamente il chrónos dimenticandosi della bellezza del kairós. Omologarsi sul fare fa perdere a noi tutti la memoria dell'essere. Eppure, abitare il (proprio) tempo per scoprire il kairós è l'inizio di ogni libertà e fondamento di ogni responsabilità politica e sociale. L'apostolo Paolo parla di tempo come kairós e non come chrónos. A noi che lo leggiamo oggi non chiede di ritirarci, ma di ristabilire una gerarchia di valori per vivere perché «quelli che piangono (vivano) come se non piangessero».

È un “altro” modo di vivere e di situarsi nella realtà che può cambiare questo mondo così caduco e pragmatico.
Occorre avere nostalgia del futuro, non del passato, per governare questi tempi difficili: vincerà chi giocherà il jolly della solidarietà. Altrimenti l'alternativa è quella descritta da Samuel Beckett, nel suo Finale di partita. Nel dialogo tra i due protagonisti, Hamm chiede: «Che ora è?», il servo Clov gli risponde: «La stessa di sempre». Possiamo continuare a sopravvivere in un tempo sempre uguale e privo di senso?
Ci conviene continuare a dire che ieri era meglio, senza desiderio di costruire il domani? Tra le pieghe della storia la soluzione è quella descritta da Tolkien nella sua potente immagine del fuoco: «Le radici profonde non gelano. Dalle ceneri rinascerà un fuoco».

La politica dei cattolici è chiamata a una purificazione e a essere come il lievito che non difende rendite o posizioni, ma feconda idee e visioni nuove. […] È il fuoco degli ideali che riaccende la cenere delle politiche che mancano, perché in un popolo l'ideale può nascere solo dalla percezione del bello e del giusto. Pensiamo ai tanti “frutti maturi” che nascono dagli studi e dalle competenze di molte donne e uomini di fede. […] Le disuguaglianze da cui dipendono lavoro, cure sanitarie ed educazione vanno ripensate dal rapporto tra fede e giustizia in politica.

Anzi, per i sociologi, se i ricchi diventeranno sempre più ricchi e il resto della popolazione sempre più povera, il pericolo di rivolte sociali sarà dietro l'angolo. Su quali princìpi allora occorre fondare la convivenza sociale e politica? Su quelli di efficienza e di utilità? O anche su quelli di solidarietà e di giustizia? È tipico delle politiche deboli, che adottano narrazioni forti e univoche, imporre stili di vita e modi di conquistare un potere illusorio.


Francesco Occhetta
Focus
NP dicembre 2021

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