Non aspettare oltre
Pubblicato il 06-04-2025
Il 19 dicembre si è svolto il primo Consiglio europeo presieduto da Antonio Costa, nel 50° anniversario dalla prima riunione di un organo che riunisce i capi di Stato e di governo dei Paesi dell’ue, con poteri di indirizzo della politica generale, interamente dedicato a dossier internazionali: l’Ucraina, il Medio Oriente, l’ue nel mondo, le migrazioni. La sera prima l’annuale Summit ue-Balcani si è concluso con la Dichiarazione di Bruxelles, che ha rilanciato il processo dell’allargamento, come «investimento geostrategico per la pace, sicurezza, stabilità e prosperità».
«È un dato di fatto che ogni Paese che ha aderito all’Unione Europea è molto più prospero grazie alla sua appartenenza. Questa è la promessa di prosperità dell’Europa», ha detto Costa. Non sono state stabilite scadenze precise, ma con alcuni Stati vi è una accelerazione nel negoziato sui singoli capitoli (Albania e Montenegro). Così la conferma del sostegno alla loro integrazione progressiva, attraverso l’accelerazione di riforme concernenti lo stato di diritto e la lotta alla corruzione, ma soprattutto con il Piano per la crescita dei Balcani, costruito sul modello dei pnrr e che a termine dovrebbe raddoppiare la crescita della regione e accelerare il processo di convergenza complessiva di questi paesi con l’ue.
In un contesto geopolitico segnato dalla guerra in Ucraina, dal conflitto in Medio Oriente e dalle crescenti minacce alla sicurezza internazionale, si tratta dunque di un segnale importante, che riaccende le speranze. Senza sottacere i molti aspetti problematici, in alcuni Paesi della regione e nel clima politico non favorevole all’allargamento in molti Stati europei, come anche le urgenti riforme istituzionali dell’ue, per poter funzionare un domani a 33 e poi forse a 36.
In un saggio scritto oltre un anno fa, avevo definito il rapporto con i Balcani una relazione complicata. La prospettiva di un futuro europeo per i Balcani occidentali era stata ribadita forte e chiara in occasione del vertice di Salonicco (2003), ormai oltre venti anni fa. Ma tutti ricordiamo la faticosa adesione dell’ultimo Paese divenuto membro dell’ue, la Croazia nel 2013. Molte speranze aveva suscitato la presidenza bulgara dell’ue nel 2018, con il vertice di Sofia. Così ancora a Zagabria (2020), Brdo (2021) e Bruxelles (2022). Ma senza progressi. Una relazione dunque complicata con l’ue, che ha spesso creato nuove procedure negoziali e nuove “sale d’attesa”. Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia tutti insieme sono 18 milioni di persone, meno del 4% della popolazione europea. Tanta fatica per una realtà così contenuta e che pur avrebbe un impatto politico notevole per tutti. Si è così lasciato sempre più spazio al dispiegarsi di pericolosi interessi esterni, dalla Russia alla Cina, dalla Turchia ad alcuni Paesi del Golfo. Con una frantumazione delle prospettive dei singoli Stati e anche il ritorno di acute conflittualità in situazioni già critiche (vedi Kosovo/Serbia).
Bisogna augurarsi che quanto avvenuto poco prima di Natale sappia rilanciare quella promessa di una futura integrazione europea, per garantire pace e prosperità per la regione e per l’Europa stessa. Che questo spinga tutti ad accelerare: riforme e preparazione in quei sei Paesi, negoziati e sostegni da parte di Bruxelles. Certo, non bisogna sottovalutare un altro aspetto: saper raccontare risultati e vantaggi di questo processo, anche in termini di scambi e occupazione, nonché di maggiore stabilità europea nel suo complesso. L’Italia è da sempre in prima linea, perché la geografia detta spesso le necessarie priorità della politica. È ora di darsi dei tempi certi e riconquistare i cuori e le menti delle opinioni pubbliche, nei Balcani e nell’ue. Senza questo consenso il processo rischierà di arenarsi ancora. Sapendo che la serietà dello sforzo su quest’area è premessa di sfide ben più grandi e non certo lontane: Ucraina, Moldova, Georgia e il cosiddetto Mediterraneo allargato. I Balcani non possono attendere altri dieci anni e l’Europa non può “perdere” i Balcani.
Luca Jahier
NP gennaio 2025