No alla pena di morte!

Pubblicato il 29-06-2017

di Guido Morganti

di Guido Morganti - Passato il referendum costituzionale, in Turchia si affaccia la possibilità di un altro referendum, quella sulla reintroduzione della pena capitale. D’accordo, è usato come slogan perché la pena di morte tira sempre molto e difficilmente sarà proposto per non rischiare una bocciatura non avendo una maggioranza solida, però è un segnale che allontana sempre più la Turchia dagli ideali europei. In Europa infatti non sussiste la pena capitale, anche se argomento sensibile su cui soffiano coloro che intendono sfruttare politicamente la paura per calamitare consensi.

Secondo il rapporto di Amnesty sulla pena di morte nel 2016 ci sono state oltre mille esecuzioni in 23 Paesi: Afghanistan (6), Arabia Saudita (154), Bangladesh (10), Bielorussia (oltre 4), Botswana (1), Egitto (44), Giappone (3), Indonesia (4), Iran (567), Iraq (88), Malesia (9), Nigeria (3), Pakistan (87), Palestina Hamas a Gaza (3), Singapore (4), Somalia (14), Stati Uniti (20), Sudan (2), Taiwan (1). Per Cina, Corea del Nord,Vietnam, Sudan del Sud i dati non sono verificabili oggettivamente. Escludendo la Cina, dove si stimano migliaia di esecuzioni, l’87% delle condanne sono state eseguite in soli 4 Paesi: Iran, Arabia Saudita, Iraq e Pakistan. Nel 2016 sono state comminate 3.117 condanne capitali in 55 Paesi e quasi 19mila condannati si trovano nei bracci della morte. 104 Paesi hanno abolito la pena di morte.

Tra i Paesi occidentali emblematica la situazione negli Stati Uniti. Un articolo del foglio di coordinamento interno del comitato Paul Rougeau riporta che la pena di morte negli Stati Uniti ha alti costi, oltre che a livello morale, anche da un punto di vista finanziario. La pena capitale è prevista per omicidio di primo grado, tradimento e omicidio aggravato, ed è applicata in 31 dei suoi Stati. Circa tremila i prigionieri nei bracci della morte. Ognuno costa ai contribuenti 90mila dollari in più rispetto a un detenuto normale. Mediamente dopo la sentenza, i condannati trascorrono 178 mesi nel braccio della morte, quasi quindici anni, e di loro un quarto muore per cause non dovute all’esecuzione. I processi costano da 1 a 1,6 milioni di dollari, il doppio di quelli che non prevedono la pena capitale. È stato stimato che la pena capitale costa agli Stati americani che la prevedono oltre 23 milioni di dollari in più rispetto a pene alternative come l’ergastolo che risulta molto meno costoso della pena capitale perché non comporta numerosi appelli.

Il Comitato Paul Rougeau, che da oltre vent’anni si batte per la tutela dei diritti umani, in particolare per l’abolizione della pena di morte, sostiene questi appelli. Il Comitato prende nome da un afro americano, arrestato nel 1978 e accusato di omicidio per una sparatoria in un locale di Houston. Condannato a morte, nel 1992 lanciava un messaggio in cui si dichiarava innocente e chiedeva amicizia e aiuto. Fu fondato il Comitato per raccogliere fondi e patrocinare la difesa. Paul venne giustiziato nel 1994, ma il Comitato nel frattempo era entrato nei bracci della morte sostenendo molti condannati.

La sezione italiana del Comitato Paul Rougeau ha chiesto a Ernesto Olivero di diventarne presidente onorario. Nella sua lettera di accettazione sottolinea che questa carica lo «responsabilizza ulteriormente nel ricordare che ogni vita è unica ed irripetibile, sempre e comunque. Salvarne anche una soltanto vale l’opera di tutta una vita.

Una vita salvata diventa un segnale per tutti, un richiamo per i giovani al rispetto della vita. Una vita salvata diventa un simbolo perché tutte le altre terribilmente condannate abbiano l’attenzione che meritano». E termina con un invito: «Bisogna continuare a mobilitarci e a smuovere l’opinione pubblica, affinché i giovani degli Stati che ammettono la pena capitale cambino le loro leggi, modifichino i codici legislativi. Bisogna continuare a parlarne, continuare a tenere l’attenzione vigile. Basterà? Bisogna almeno provarci».

Guido Morganti
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