Nello studio ovale

Pubblicato il 14-09-2025

di Michelangelo Dotta

L’immagine dello Studio Ovale con il presidente seduto in poltrona al lato destro del caminetto, l’ospite simmetrico su quello sinistro e tutti con i consueti sorrisi di circostanza in favore di telecamere, è l’immagine simbolo del potere americano, quella che ogni volta fa il giro del mondo e sintetizza pesi, equilibri e distanze in un solo fotogramma. Con Trump ha travalicato la forma, l’ufficialità e la misura per trasformarsi in una sorta di arena televisiva in cui il mattatore trascina la sua preda di turno al cospetto del circo mediatico per presentarsi alla platea globale nel ruolo inequivocabile di chi pubblicamente decide le sorti del mondo calpestando dignità e diritti degli altri, compreso l’interlocutore del momento, che normalmente è un capo di Stato o di governo.

Ma partiamo dallo studio; il presidente ha subito voluto dare la sua impronta riempiendolo di coppe, cornici e ornamenti d'oro, uno stile opulento in netto contrasto con quello molto più sobrio del suo predecessore. I ritratti dei presidenti sulla parete di sfondo fanno da muto contraltare a una platea di giornalisti selezionati che tra aste, microfoni, telecamere, taccuini e telefonini sembrano voler fagocitare la scena; quasi a stabilire una distanza tra loro e Donald con l’ospite di turno, un divano sul lato destro con il vicepresidente Vance e uno sul lato sinistro, al centro un tavolo basso. La composizione dell’insieme è studiata ad arte, da un lato Trump e il suo ospite seduti incorniciati dal camino e pronti a dare spettacolo e, dall’altro, la massa di giornalisti assiepati pronti a cogliere e a ritrasmettere ogni gesto, ogni sguardo, ogni pausa e ogni affermazione che scandiranno l’incontro.

Chi è ricevuto dall’uomo più potente del mondo, nel bene come nel male, non può sottrarsi a questo destino; si sentirà anch’egli potente almeno di riflesso, almeno nelle immagini dei sorrisi iniziali, ma altrettanto impotente quando proverà a trattare con il padrone di casa e si troverà costretto a fare concessioni per non essere umiliato e cacciato via in mondovisione. Volodymyr Zelensky e Giorgia Meloni hanno interpretato la loro parte nel teatrino televisivo dei potenti e ognuno dei due ha mantenuto fede al suo ruolo con i risultati che tutti conosciamo, difficili da biasimare in assenza di alternative concrete, vittima sacrificale designata l’uno, donna di polso con dichiarate simpatie e affinità di pensiero l’altra. Tutto sommato, bisogna riconoscerlo, è stata più abile la nostra presidente del Consiglio che, pur tra tante concessioni di tipo economico, ha tenuto punto fermo sull’Ucraina, nazione invasa da Putin, e sull’Europa come referente unitario e privilegiato degli Stati Uniti; sarà perché è donna, sarà perché è in sintonia con il Tycoon, sarà perché è sorridente e fotogenica, sarà perché parla inglese sufficientemente bene da correggere la traduttrice della Casa Bianca, dal teatrino mediatico montato da Trump è quella che è uscita di gran lunga meglio.


Michelangelo Dotta
NP maggio 2025

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