Moda ad alta velocità

Pubblicato il 14-05-2025

di Sandro Calvani

Con alcuni amici ho illustrato questa mia convinzione 40 anni fa, nel febbraio 1985, nel documento Contro la fame cambia la vita, che poi servì come manifesto per una campagna di crescita dei consumi responsabili.
Allora i due commerci più importanti al mondo erano la produzione e il consumo di alimenti e di tessili per l’industria della moda. Oggi, essi rimangono il volano dell’economia del mondo, insieme all’energia e alle nuove tecnologie informatiche.

I vestiti morti dei bianchi
Obroni Wawu, cioè “vestiti morti dei bianchi” sono le migliaia di grosse balle di vestiti da buttare che arrivano ogni giorno dai Paesi ricchi in un’immensa discarica ad Accra in Ghana. Sono l’ultimo passaggio del ciclo del commercio della moda, soprattutto la cosiddetta Fast fashion caratterizzata da un ciclo di consumi compulsivi, una dipendenza simile alle droghe. Infatti l’acquisto quasi quotidiano è parte della sindrome FOMO (ovvero la paura di perdersi qualcosa di bello) e genera dopamina e adrenalina. Molte persone si disfano degli indumenti entro un anno: in media vengono smaltiti dopo essere stati indossati non più di 10 volte.
Negli Stati Uniti, una persona su tre considera da buttare un capo di abbigliamento indossato tre volte. In Europa, Il 41% delle donne di età compresa tra i 18 e i 25 anni si sente a disagio nell’indossare lo stesso vestito due volte. Il ciclo veloce di produzione-acquistoscarto include: Replicazione delle tendenze: Copiare rapidamente i modelli di alta moda e produrli in brevi: Rapido passaggio dei modelli dall'idea ai negozi, a volte in poche settimane.
Prezzi bassi: Rendere i capi incredibilmente convenienti, incoraggiando acquisti frequenti. Volumi elevati: Produzione di quantità massicce di abbigliamento per soddisfare la domanda delle ultime tendenze, producendo sempre almeno il 40% in più di quanto si prevede di vendere. Bassa qualità: Spesso si utilizzano materiali e processi di produzione a basso costo, con il risultato di capi che si usurano rapidamente.

Uno spreco impressionante
Si stima che l'industria della moda produca circa 100 miliardi di capi di abbigliamento all'anno (in media circa 12 capi per persona). Oggi, si acquista il 60% di capi di abbigliamento in più rispetto a 15 anni fa e si conservano per la metà del tempo. In Occidente, ogni persona butta via circa 81 chili di tessuti all'anno.
A livello globale ogni anno vengano buttati via 92 milioni di tonnellate di rifiuti tessili, circa un camion al secondo. Grave impatto ambientale. Microplastiche negli ecosistemi: il processo di fabbricazione dei prodotti di abbigliamento emette microplastiche nelle acque reflue e, una volta lavate, le minuscole microplastiche finiscono nello scarico e nelle nostre acque. Nel 2021, la fibra di poliestere, un materiale plastico spesso utilizzato per produrre vestiti, ha costituito circa il 75% delle microplastiche trovate nell'Oceano Artico. Spreco d'acqua: ogni anno vengono prodotti 2 miliardi di paia di jeans e per produrne un paio tipico occorrono 7mila litri d'acqua. Per una maglietta, invece, occorrono 2.700 litri d'acqua per produrne una sola: è la quantità d'acqua che una persona media beve nell'arco di 900 giorni. Rifiuti veloci: Nel 2018, Burberry ha rivelato di aver distrutto 50 milioni di dollari di capi di abbigliamento. Nello stesso anno, H&M ha dichiarato di avere un inventario globale invenduto del valore di oltre 5 miliardi di dollari.
L'industria della moda è responsabile di circa il 10% delle emissioni globali di carbonio (più dei trasporti aerei e marittimi). La produzione di fibre sintetiche e tessuti è ad alta intensità energetica e dipende in larga misura dai combustibili fossili. La spedizione di capi d'abbigliamento in tutto il mondo genera notevoli emissioni. Gli indumenti scartati finiscono nelle discariche, dove si decompongono e rilasciano metano, un potente gas serra. I processi di tintura e trattamento dei tessuti spesso coinvolgono sostanze chimiche tossiche che inquinano i corsi d'acqua.

Il legame con la fame nel mondo
Anche se apparentemente non correlati, il fast fashion e la fame nel mondo sono interconnessi.
Competizione sulle risorse: La terra e l'acqua utilizzate per coltivare il cotone per l'abbigliamento potrebbero essere utilizzate per la produzione di cibo.
Disparità economica: I bassi salari pagati ai lavoratori dell'abbigliamento nei Paesi in via di sviluppo – (in media 3,4$ al giorno nel 2024) contribuiscono alla povertà e all'insicurezza alimentare.
Fast fashion e malcostumi alimentari evidenziano un problema sistemico di modelli di produzione e consumo ingiusti e non sostenibili. Affrontare questi problemi richiede un cambiamento verso un consumo più consapevole, pratiche di produzione etiche e una maggiore attenzione alla riduzione dei rifiuti e alla promozione dell'equità.
 

Sandro Calvani
Focus
NP febbraio 2025

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