Memoria selettiva

Pubblicato il 11-06-2025

di Renato Bonomo

La memoria selettiva è il segnale di una mancata maturità della comprensione storica. Significa selezionare solo gli avvenimenti che in qualche modo rispondono a determinate visioni, trascurando intenzionalmente altri. Tra queste pieghe (o piaghe) della memoria del nostro Paese, un posto interessante meritano le vicende del colonialismo italiano. Italiani brava gente, incapaci della durezza di altri popoli colonizzatori, ingenui, in fondo generosi e interessati allo sviluppo dei popoli sottomessi. Ne è nata una narrazione piuttosto indulgente delle nostre azioni coloniali. Ne è prova il fatto che è più facile ricordare la terribile sconfitta patita a Adua nel 1896 che ricordare la vittoria dell’Amba Aradam del 12 febbraio 1936, quando le truppe italiane comandate dal generale Badoglio uccisero in battaglia tra i 5 e i 6mila soldati etiopi con l’arma proibita del gas e, poi, conclusero l’opera mitragliando e bombardando le truppe nemiche in ritirata. Paradossalmente proprio una sconfitta risulta più funzionale a una narrazione sminuente le responsabilità italiane.

Ma che cosa successe a Adua? Il 1° marzo 1896 l’esercito italiano subì una pesantissima sconfitta militare con oltre 5mila morti tra i nostri connazionali e mille ascari, le truppe indigene. Siamo in Etiopia, nella regione del Tigrè – ancora oggi tristemente conosciuta per una lunga scia di sangue sullo sfondo del conflitto tra la stessa Etiopia e l’Eritrea. Siamo circa vent’anni dopo l’inizio della nostra avventura coloniale, cominciata con l’acquisto della baia di Assab e proseguita con la fondazione della colonia dell’Eritrea e i primi insediamenti italiani in Somalia.

Alla sconfitta – causata da una nostra intraprendenza imperialistica – seguì un interessante dibattito in cui comparvero molte voci critiche, a partire da Civiltà cattolica che, il 7 marzo 1896, con grande acume scrisse: «L'idea stessa di una guerra d'espansione, cioè di conquista, fatta per sovrapporsi colla spada a popoli costituiti in unità nazionale, aventi proprio esercito, proprio governo, proprie leggi, propria indipendenza, è diametralmente opposta a tutto ciò che nell'età moderna si intende universalmente per civiltà, e che per civiltà dicono di intendere soprattutto i nostri più forsennati gridatori di africanismo […] costoro distruggono poi con i cannoni in Africa quanto nel nome della civiltà moderna edificarono in Italia: l’unità politica, la libertà, l’indipendenza, il diritto di comandare in casa propria, escludendone ogni dominatore straniero, e di regolare a proprio senno gli interessi nazionali». Fine comprensione che ha colto la natura profondamente ambigua e contraddittoria del nostro colonialismo sin dai suoi esordi post-unitari.

Tutti quei valori che avevano guidato il nostro Risorgimento vengono diametralmente sovvertiti nella logica coloniale. Ecco allora la necessità per giustificare il nostro colonialismo dell’introduzione sottile ma decisiva del razzismo. I valori della libertà, dell’autodeterminazione, dell’essere padroni in casa propria non hanno valore universale ma valgono per i popoli civilizzati. Non si può chiedere a popoli giovani e incivili lo stesso grado di consapevolezza e maturità. Peccato che la propaganda coloniale avesse completamente sbagliato il tiro: il popolo etiope era ben diverso da come lo avevamo pensato, non era un insieme di tribù arretrate e rozze ma possedeva una solida organizzazione militare, oltre a una cultura millenaria. Dietro la propaganda dell’intento civilizzatore veniva quindi nascosta la volontà di occupare i territori africani e la convinzione di essere superiori. Gratta, gratta, ecco la verità.


Renato Bonomo
NP marzo 2025

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