Loro e noi
Pubblicato il 28-02-2025
A breve assisteremo alla cerimonia di (re-)insediamento di Donald Trump quale nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, un déjà vu a tinte più radicali rispetto al 2016. Rispetto poi al 2020, i suoi focosi sostenitori entreranno dalla porta principale nei palazzi del potere e non si siederanno più illegittimamente sulle poltrone ma con tanto di nomina presidenziale. Ciò a cui stiamo assistendo negli USA è sicuramente qualcosa di inedito ma non del tutto avulso dalla storia americana.
In un suo seguitissimo blog, il giornalista Francesco Costa rintraccia il successo di Trump non nella sua proposta economica ma nella sua prospettiva culturale. «Negli ultimi quattro anni il Partito Democratico ha assunto posizioni magari giuste, ognuno avrà la sua idea, ma di certo radicalmente impopolari su moltissime questioni non economiche: si è californizzato, dal momento che la sua proposta politica è stata elaborata sempre di più dai gruppi di attivisti e dai ricchi finanziatori – bianchi, laureati, di città – e sempre meno dalla sua base e dalla classe operaia». Se il trumpismo ha vinto in maniera così ampia, andando a trovare consenso anche in settori della società americana che non sembravano così sensibili al suo messaggio, vale la pena approfondire il discorso. Ancora Costa: «Lo slogan più efficace del comitato Trump in questa campagna è stato: Kamala is for they/them. President Trump is for you». Noi e loro. Da una parte il popolo, dall’altra le élite che portano avanti idee e valori distanti dall’orizzonte delle classi medio-basse (e che – paradossalmente – solo due multimiliardari come Trump e Musk riescono a interpretare).
Nella recente storia americana abbiamo un esempio molto interessante di dicotomie (noi/loro e popolo/élite) fondate su radici culturali e ideologiche: il maccartismo. Siamo nei primi anni della guerra fredda: nel 1949 i sovietici sperimentano con successo la loro prima bomba nucleare e Mao proclama la Repubblica popolare in Cina. Negli usa si diffonde una vera e propria psicosi circa il “pericolo rosso”, a causa di un rigido anticomunismo che serviva anche a giustificare l’ingentissimo aumento delle spese federali per implementare gli armamenti, specialmente nucleari. Principale interprete dell’anticomunismo dilagante è il senatore repubblicano del Wisconsin, Joseph McCarthy (1909-1957). In un suo celebre discorso del 9 febbraio 1950, McCarthy denuncia la presenza nella stampa e nelle istituzioni di molti traditori e spie che, dall’interno, stavano operando in senso antiamericano. Messo a capo del Comitato per l’investigazione delle attività antiamericane dà inizio a una vera e propria “caccia alle streghe”, schedando, denunciando (e spingendo molti cittadini alla delazione) numerosi funzionari e intellettuali accusati di essere comunisti e sovversivi. Solo una minima parte di loro è poi risultata effettivamente coinvolta in attività di spionaggio. Nel 1955 la sua stella politica comincia a spegnersi dopo aver messo in discussione la fedeltà di alcuni esponenti dell’esercito. Riprendiamo alcuni passaggi di quel discorso in cui si afferma l’esistenza di «una battaglia finale, a oltranza, tra l’ateismo comunista e la cristianità».
Il mondo secondo McCarthy è quindi in guerra, solo un cieco potrebbe non vederla: «C’è forse qualcuno che non si rende conto che il mondo comunista ha deciso che l’ora è giunta? […] l’ora della resa dei conti tra il mondo cristiano democratico e il mondo ateo comunista?» Gli americani rischiano di perdere se non sapranno rispondere. Stando attenti perché, per il senatore, i veri nemici per gli Stati Uniti non sono quelli esterni ma quelli interni: «A tradire la Nazione non sono stati i meno fortunati, né i membri di gruppi minoritari, bensì coloro che hanno tratto ogni vantaggio che il Paese più ricco del mondo avesse da offrire […] le case più lussuose, la migliore istruzione universitaria e le cariche più prestigiose che il governo potesse conferire». McCarthy chiude sostenendo la necessità di «una rivolta morale, la quale avrà fine soltanto quando l’intera infelice accozzaglia di pensatori malati e distorti sarà spazzata via dalla scena nazionale, cosicché potremo veder rinascere un governo onesto e dignitoso». Make America great again?
Renato Bonomo
NP Dicembre '24