L’informazione in carcere

Pubblicato il 31-08-2009

di bruno


Il bisogno di comunicare, in prigione, è forte. I giornali dal carcere, cartacei e on line, in Italia sono ormai una sessantina, alcuni con un’ampia diffusione.

Stampa Subalpina, 29 giugno 2006

Sono "Innocenti evasioni", "Spiragli". Quello della casa di reclusione di San Michele, ad Alessandria, si chiama "Altrove", "Oltre il muro" (non a caso, così si intitola) è quello di Sanremo. Sono i giornali dal carcere, spesso testate regolarmente registrate in tribunale e destinate ad una diffusione ampia. Un modo, un luogo e un movente di fare giornalismo che offre proprio ai giornalisti molti spunti di riflessione.

"Un'informazione ristretta ma non per questo meno dignitosa di quella libera", sottolinea Giovanni Rizzo, giornalista alessandrino, direttore responsabile di Altrove, interamente redatta in carcere da dieci detenuti, affiancati da due esterni - lo stesso Rizzo e Bianca Ferrigni, giornalista de "Il Piccolo" di Alessandria - nonché da alcuni volontari e dall'associazione Betel. La redazione è in carcere: 370 reclusi, laddove dovrebbero starcene 245. Un problema comune a tutti i penitenziari, 207 in Italia, che al 31 dicembre 2005 risultavano custodire 59.523 reclusi, 56.719 uomini e 2.804 donne.

Il bisogno di comunicare, in prigione, è forte. I detenuti, quelli che lo desiderano e che vengono ritenuti idonei, frequentano un corso di giornalismo, imparano a fare il giornale, assumendosi anche la responsabilità di non fare uso improprio dei computer, pena l'interdizione dalla redazione - spiega Rizzo -. È stata la direttrice del carcere, Rosalia Marino, a dare impulso a quest'attività, nell'ambito di un progetto di recupero. Importante è anche la collaborazione degli educatori, che svolgono un ruolo di collegamento tra i giornalisti esterni e quelli interni.

La prima difficoltà è quella di vincere l'auto-censura: alcuni argomenti, come ad esempio i suicidi in carcere o la sessualità, sono paradossalmente tabù anche nel carcere stesso e i detenuti tendono a non scriverne o ad omettere gli aspetti più reali, imbarazzanti, ma proprio per questo necessari per fare informazione. La seconda difficoltà è quella del rapporto con il mondo esterno, e non solo perché c'è un muro di mezzo: i media danno risalto alle condizioni di vita carceraria in coincidenza di promesse di indulto o di amnistia o in casi di violenze e rivolte. Poi, il silenzio.

Le riviste nate negli istituti di pena,
pur con poca visibilità esterna e con mille difficoltà, provano a dare continuità all'informazione sulle carceri. Il loro pubblico, oggi, non è composto soltanto dai detenuti e dai loro famigliari, ma anche da istituzioni, associazioni, cooperative sociali, librerie… Già, un mondo che si conosce ancora poco, quello del carcere, per più di un motivo. Quando la porta della prigione si chiude alle spalle del condannato, o dell'imputato, con la libertà si perde anche il diritto all'informazione. Nei due sensi: il diritto a ricevere informazioni e di fare informazione (…).

Anche se in carcere la scolarità è mediamente molto bassa, la scrittura è il mezzo di comunicazione più diffuso, e carta da lettere e francobolli sono tra i beni più ambiti e più elemosinati, battuti forse solo dalle sigarette. E sulla carta passa qualsiasi comunicazione. Talvolta sono messaggi semplici, auguri per qualche festa, notizie o ringraziamenti; altre volte sono testimonianze di affetto e di ricordo; ma spesso sono riflessioni, talora veri articoli, che meriterebbero ampia diffusione (…).

Da "Altrove" e dalle riviste consimili, coordinate da "Ristretti Orizzonti"
di Padova (www.ristretti.it) negli ultimi tempi è stata formulata una proposta di collaborazione: all'Ordine dei giornalisti, per affermare i diritti delle persone detenute ad essere informate e a fare, a loro volta, informazione, e ai giornalisti, per promuovere momenti di formazione per le redazioni interne alle carceri. Una giornata nazionale di studi su questi temi - "Dalle notizie da bar alle notizie da galera" - si è tenuta di recente anche a Padova. Vi hanno partecipato operatori carcerari, dell'Ufficio del Garante per la Privacy, dei detenuti, dell'Ordine nazionale e della Giunta della Fnsi. Obiettivo: l'istituzione di una Carta per l'informazione giudiziaria.

Esistono già regole e principi per l'informazione giudiziaria, ma è utile la proposta di una specifica "Carta", ha affermato Mauro Paissan, dell'Authority per la privacy, che ha ricordato i principi, in parte posti dal codice deontologico dei giornalisti del 1998, che devono sovrintendere al delicato lavoro di chi fa informazione giudiziaria: rispetto della dignità della persona; tutela assoluta dei minori e di tutti i soggetti deboli, a partire dalle vittime dei reati; divulgazione dei nomi delle persone indagate o arrestate solo nel rispetto del segreto investigativo; diritto all'oblio (cioè a non vedere riproposta anche a distanza di molti anni la propria vicenda giudiziaria); divieto di far riferimento a congiunti o altri soggetti non interessati ai fatti; divieto di pubblicare foto segnaletiche o foto della persona in manette o in stato di detenzione senza il consenso dell'interessato.

Il vicedirettore di Repubblica, Dario Cresto-Dina, in un convegno a Milano in febbraio ha avanzato altre proposte: che qualche redattore-detenuto, per esempio, possa fare uno stage nella redazione del suo giornale, e che a sua volta un giornalista di Repubblica possa frequentare la redazione di un giornale dal carcere e allenarsi a conoscere più da vicino la realtà della detenzione e a combattere gli stereotipi e le generalizzazioni che imperversano nel mondo "fuori".

Stampa Subalpina, 29 giugno 2006
(Rivista dell'Ordine dei Giornalisti del Piemonte)

L'articolo è tratto dalla rassegna stampa di "Ristretti Orizzonti" il mensile della Casa di Reclusione di Padova e dell'Istituto di Pena Femminile della Giudecca.

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