L’ideale del monaco

Pubblicato il 12-11-2016

di Cesare Falletti

Monaco in preghieradi Cesare Falletti – La voce dei poveri, dal Centrafrica a Pra d’Mill.

La provvidenza molti anni fa ci ha messo in stretto contatto, vera amicizia fraterna, con un giovanissimo carmelitano, che oggi è superiore del Carmelo di Banguy in Centrafrica. Con tutto il dramma che si vive in quel Paese, il suo convento è diventato luogo di rifugio per più di duemila sfollati che cercano scampo, vita e pane nel cuore di una assurda lotta fra bande che massacrano e torturano i civili. Purtroppo, come spesso succede, rivestendo maschere di appartenenze religiose sconfessate perfino dai veri leader religiosi. Questo nostro amico ci manda ogni giorno una relazione di ciò che sta avvenendo nel suo convento.

Giorno dopo giorno condivido con i fratelli del mio monastero queste lettere, ma non ne parliamo fra noi. Queste lettere cadono, grazie a un certo tipo di ascolto e la preghiera che ne segue, nel cuore. È però doveroso chiedersi: cosa vuol dire restarsene tranquilli in un luogo calmo e silenzioso come Pra ‘d Mill e tenere nel cuore quel grido che sale dal Centrafrica devastato da lotte assurde?

Questa è la continua sfida che la storia degli uomini lancia ai monaci. Leggere le notizie col cuore e lasciarsi trafiggere senza poter far nulla, volendo liberamente essere come la moltitudine impotente, povera, senza voce e accettando questa sfida senza girare la pagina cercando altro, cercando qualcosa che ci dia un po’ di ruolo, è un cammino difficile in cui non si muore solo se ci si è abbeverati all’acqua viva del vangelo. Il monaco è colui che si è fatto volontariamente impotente, non solo davanti ai grandi drammi mondiali, ma anche a ciò che lo tocca da vicino, perché i poveri non hanno diritti, non hanno voce, nessun orecchio li ascolta. Volontariamente povero davanti a Dio, con la tenacia della vedova davanti al giudice iniquo. Sì, Uno c’è che ascolta ed è quello davanti al quale il monaco si fa voce di tutti i costretti al silenzio; si alza presto per gridare le angosce della notte, lavora per dare senso alla creazione che è servizio all’uomo e gloria di Dio, scruta la Scrittura perché ogni briciola della bontà di Dio va raccolta e lasciata passare misteriosamente nelle vene dell’umanità, perché il cammino verso la vita è lungo e stremante.

Il Signore si è fatto ultimo nell’umanità, colui che non contava. Silenzioso a Nazareth, sulla croce e nella tomba, ma presente nel cuore di un’umanità sempre in subbuglio, ha salvato tutti. Questo è il silenzio carico di amore che vogliamo vivere: un silenzio presenza e non assenza, un silenzio che dà, che dice “pago io” come lo straniero samaritano della parabola evangelica. E il monaco da sempre si è fatto straniero. Il mio amico carmelitano condivide con speranza, semplicità e tenerezza la sua avventura non cercata, in mezzo ai disperati e noi vogliamo camminare con lui. Non saranno i nostri digiuni e penitenze ad aiutarlo; questi possono solo essere segni di un amore che vuole essere solidale. Ma tutto ciò che si fa con amore davanti all’Amore impasta la terra d’amore e credo fortemente che malgrado le apparenze il mondo è bello perché l’amore è di più, è più forte, è più solido dell’odio che sembra distruggere tutto, ma non arriva fino a Dio e quindi è senza vita e senza futuro. Per il monaco l’ideale, mai raggiunto, ma davanti al quale non si abbassano le braccia, è spogliarsi di tutto per poter essere una creatura unita a tutti.

Avere è separarsi. Anche in Centrafrica ci si ammazza per avere. Solo il Signore può raccogliere ogni cosa che si dà, di cui ci si spoglia, per distruggere le barriere fra gli uomini. Lunga lotta, lungo cammino, ma il tessuto spesso che separa gli uomini diventa liso e alla fine la luce del Principe della pace filtra e illumina.


IL RUMORE DEL SILENZIO – Rubrica di Nuovo Progetto

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