Le armi più potenti

Pubblicato il 15-02-2022

di Gabriella del Pero

Ho letto che un recente studio di Save the Children dimostra che a causa degli effetti della pandemia da Covid-19 nei Paesi a più basso reddito gli scolari hanno perso il 66% di giorni di scuola in più rispetto ai loro coetanei nei Paesi più ricchi e le bambine hanno a loro volta perso il 22% in più del totale dei giorni di scuola in confronto ai bambini. Una pessima notizia. Per questo i leader delle 7 più potenti economie del mondo si sono incontrati nel giugno scorso e hanno adottato la “Girls’ Education Declaration” annunciando lo stanziamento di 700 milioni di euro per garantire l’accesso all’istruzione a 40 milioni di ragazze in più. E a luglio, a Londra, al Global Education Summit, l’Unione Europea e i suoi Stati membri hanno promesso 1,7 miliardi di euro per far ricominciare la scuola a 175 milioni di bambini che l’hanno interrotta, e portare la scuola a 88 milioni di bambini e bambine che non l’hanno mai frequentata. Una buona notizia.

È evidente infatti che la scolarizzazione è uno dei più importanti mezzi di emancipazione e di sviluppo umano e sociale in qualsiasi parte del mondo. E in Italia come stanno le cose? Non molto bene, a giudicare dai dati emersi sempre nel rapporto di “Save the Children”. Risulta infatti che durante la pandemia ci sia stato nel nostro Paese un netto peggioramento dell’apprendimento scolastico e che la percentuale di studenti che alla fine del loro percorso di formazione non raggiungono la sufficienza in italiano, matematica e inglese sia aumentata dal 7 al 9,5%. E altre ricerche evidenziano nel periodo post-pandemia un calo dell’87% della motivazione ad imparare degli studenti, perduta nei mesi di funzionamento a singhiozzo delle scuole. Ma non sono neppure indispensabili studi così mirati e stringenti dati numerici per accorgersi del fenomeno: basta ascoltare con un po’ di attenzione le osservazioni e le ripetute lamentele di molti insegnanti e genitori.

I ragazzi di oggi sono sempre più ignoranti, non approfondiscono più nulla, non sanno riflettere, non sono più in grado di leggere un testo di media complessità e capirne il contenuto, non riescono più a scrivere frasi corrette e comprensibili, usano pochissime parole, si esprimono solo attraverso messaggi, non sanno cosa sia un ragionamento logico, non hanno un minimo di educazione scientifica e quindi credono in modo acritico alle montagne di fake news diffuse dai social media, vivono la scuola solo come una condanna… e così via. Certo, in queste parole ci sono spesso delle esagerazioni e troppe generalizzazioni improprie: infatti non tutti i gli studenti e le studentesse di oggi rispondono a queste descrizioni, per fortuna. Ma certo la preoccupazione e l’allarme recentemente suscitati da chi vive e lavora nel mondo della scuola non vanno sottovalutati. E va ribadito in ogni modo che la cultura è una marcia in più per chiunque e una ricchezza per il mondo intero.

Vi ricordate Malala Yousafzai (nella foto), la studentessa pakistana di 13 anni scampata nel 2012 ad un attentato dei talebani mentre viaggiava sul bus che la stava portando a scuola? Dopo essere stata accolta nell’Assemblea generale dell’Onu e aver ottenuto il Premio Nobel per la pace nel 2014, si batte ancora oggi in modo particolare per il diritto delle donne all’istruzione. Ecco un suo slogan: «Prendiamo in mano i nostri libri e le nostre penne. Sono le armi più potenti. Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo».


Gabriella Delpero
NP novembre 2021

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