La vita tra le macerie
Pubblicato il 22-06-2025
Gaza è come cercare di sintonizzare una radio su una stazione che non esiste. Il fragore della violenza, della privazione e del caos invade ogni momento, assordante e incessante. All'inizio, il rumore confonde, soffoca ogni chiarezza, minaccia di sopraffare. Ma col tempo, da quel fragore inizia a emergere qualcosa di inaspettato: non trovi la stazione che stavi cercando, forse non è mai esistita, ma impari a cercare. Impari ad ascoltare attraverso l'interferenza, a percepire un silenzio che non è silenzio, che contiene significati che non avevi mai immaginato.
Perché impari che Gaza non è solo un luogo segnato da confini su una mappa; è una condizione, una realtà definita da incertezza e indifferenza. Le forze che modellano questa esistenza: blocchi, bombardamenti, manovre geopolitiche sembrano distanti dalle vite che influenzano. A Gaza non importa dei tuoi progetti, dei sogni che coltivi o degli affetti che ami. Esiste e basta, imponendosi con una forza impersonale e implacabile. Un luogo che non offre risposte, solo silenzio.
E tuttavia, in questa indifferenza, la gente di Gaza trova il modo di resistere. Ricostruisce case dalle macerie, pianta giardini all'ombra della distruzione, coltiva la risata tra gli echi della devastazione.
È qui, nel cuore del caos, che ho visto la ribellione, non attraverso grandiosi atti di sfida, ma attraverso la ferma scelta di vivere.
Ho sempre pensato che, di fronte a un universo senza senso, l'uomo abbia tre scelte: negazione, disperazione o ribellione.
La negazione si aggrappa alle illusioni, immaginando una salvezza o una soluzione che potrebbe non arrivare mai. La disperazione è resa, una
rassegnazione al caos e alla futilità. La ribellione, d'altro canto, è la decisione consapevole e deliberata di rifiutare il silenzio. È l'atto di vivere pienamente, di creare un significato, anche quando non ci viene dato nulla.
A Gaza, la ribellione è ovunque. È nel padre che appende luci colorate in una tenda per portare un po' di gioia ai suoi figli durante un blackout. È nell'insegnante che raduna i suoi studenti sotto un albero quando la scuola è ridotta in macerie. È nella madre che impasta il pane all'aria aperta, determinata a sfamare la sua famiglia nonostante i mercati vuoti.
Questi atti non sono rumorosi o rivoluzionari; sono silenziosi, profondi.
Sono gli atti di un popolo che ha capito che il senso della vita non è qualcosa che ci viene dato, ma qualcosa che creiamo.
E poi c'è la bellezza. È forse la forma di ribellione più sorprendente e toccante. Tra le rovine, la bellezza trova un modo per emergere, una forza fugace ma innegabile.
C'è il canto del pescatore che si diffonde sulle onde all'alba. L'aquilone di un bambino che vola su un orizzonte di distruzione. Il tramonto che dipinge il mare di arancione e rosso, come se l'orizzonte stesso si rifiutasse di cedere alla disperazione.
Questi momenti, fragili e fugaci, sono così profondi perché esistono nella durezza; portano con sé una forza che nessun conflitto può cancellare. Sono un promemoria che, mentre le grandi potenze possono essere indifferenti, la vita al loro interno non lo è.
Questa bellezza non è una contraddizione; è una testimonianza della complessità della vita. Non cancella la sofferenza né nega l'indifferenza, ma grazia in un mondo di caos. Mi ricorda che non esiste atto di ribellione più profondo che vivere, amare e creare, anche quando il mondo non offre garanzie.
Gaza è un promemoria costante per trovare un significato più profondo nelle piccole cose, piuttosto che aspettare una soluzione definitiva. Gaza, nel suo caos implacabile, è uno specchio che riflette le profonde verità della condizione umana. Rivela le dure realtà dell'esistenza: che la vita può essere spietata, che la perdita è inevitabile e che le risposte potrebbero non arrivare mai. Ma rivela anche l'incredibile capacità dell'umanità di resistere, ricostruire e trovare un significato, non nella promessa di una risoluzione, ma nell'atto stesso di vivere.
Questa ribellione non mi ha dato le risposte che cercavo quando sono arrivato qui, ma mi ha insegnato che, a volte, non è nel trovare che si trova un significato, ma nel creare. Creare nel caos, nel vuoto, nelle rovine di un mondo che sembra non offrire più nulla. È l'affermazione ostinata che la vita, con tutta la sua fragilità e incertezza, vale ancora la pena di essere vissuta. La gente di Gaza non solo resiste, ma esiste con una forza che sfida ogni logica, ogni aspettativa. Ogni giorno, attraverso gesti di resistenza silenziosa, costruisce un senso, un mondo, tra le macerie.
E in questa ribellione risiede una bellezza indomabile, una bellezza che non si lascia sconfiggere, che sfida l'oscurità e sussurra che, nonostante tutto, l'umanità possiede una forza capace di generare luce anche dove sembra impossibile trovarla. Non è l'indifferenza dell'universo che ci definisce, ma il coraggio di illuminare ciò che il mondo vorrebbe lasciare nell'ombra, cercare, costruire, vivere, nonostante tutto.
testi e foto di Mattia Bidoli
NP marzo 2025