La speranza oltre alle sbarre
Pubblicato il 18-01-2023
Un modo per abbattere le barriere, un’occasione per dimostrare che davvero è possibile andare oltre gli schemi, per migliorare la vita delle persone e infondere speranza per il futuro. Nelle scorse settimane, proprio pochi giorni prima dell’avvicendamento fra il governo Draghi e il governo Meloni, un accordo fra numerose realtà, con a capo il ministero della Giustizia, ha stabilito che le persone detenute in dieci province delle regioni Abruzzo, Lazio, Molise, Marche e Umbria avranno l'occasione di lavorare nei cantieri di oltre 5.000 opere di ricostruzione pubblica e in quelli di 2.500 chiese danneggiate dal terremoto del 2016 che colpì il centro Italia.
Un accordo che vuole aumentare le opportunità di lavoro, strumento indispensabile per il pieno reinserimento sociale di chi sta scontando una pena detentiva in 35 istituti del Centro Italia. Il numero dei detenuti coinvolti dipenderà dal programma dei lavori e dai cantieri individuati. Le modalità di inserimento lavorativo verranno definite in base ai profili dei singoli detenuti e alle esigenze delle aziende. Sarà il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria a individuare gli idonei e a favorire il loro inserimento in cantieri vicini alle strutture detentive, in accordo con la magistratura di sorveglianza. Coinvolta fra gli altri anche la Conferenza Episcopale Italiana, che promuoverà, presso le imprese impegnate nella ricostruzione degli edifici di culto, proprio l'utilizzo di manodopera da parte dei detenuti valutati idonei.
L’accordo è il tipico esempio di come una società possa guardare al carcere come una risorsa per l’intera collettività, ricordando che il lavoro è il modo principale per orientare il tempo della detenzione verso l’obiettivo – definito nella Costituzione – della rieducazione e del reinserimento sociale. In fondo, per dirla con le parole della oggi ex ministra della Giustizia, Marta Cartabia: «Ricostruire gli edifici, per ricostruire anche le proprie vite e sentirsi parte della comunità, ha un fortissimo significato simbolico».
«Se – ha argomentato il presidente della CEI, il cardinale Matteo Zuppi – vogliamo che il carcere non sia solo punitivo, ma redentivo, dobbiamo smettere di pensarlo come una realtà isolata, a sé stante, emarginata. Dare ai detenuti la possibilità di lavorare è un modo per farli sentire parte della comunità, per dare loro una prospettiva di futuro e un'alternativa valida per non tornare a delinquere una volta scontata la pena. Il fatto che siano impegnati in cantieri per la ricostruzione, pubblica e religiosa, è poi un segno di speranza e un incoraggiamento a costruire insieme il nostro domani».
Il sistema carcere in Italia ha tanti, troppi, punti oscuri. E non stupisce che il tasso di recidiva, cioè la percentuale di quanti, una volta scontata la pena e usciti dal carcere, vi ritornano per aver nuovamente commesso reati, sia altissima (mediamente intorno all’80%). Ma i numeri dimostrano anche che è straordinariamente bassa la recidiva di quei (ancora troppo pochi) detenuti che hanno avuto occasione di fare formazione professionale e di lavorare. Un vantaggio per loro, un vantaggio per tutti.
Stefano Caredda
NP novembre 2022