La semplice verità

Pubblicato il 26-06-2024

di Matteo Spicuglia

Da una parte la realtà, dall’altra la sua percezione.
La logica direbbe il contrario, eppure molto spesso la seconda è più forte della prima.
Con i temi dell’immigrazione funziona così.
Al di là dei numeri, dei profili di chi migra, dell’entità stessa del fenomeno, prevalgono letture unilaterali, alimentate molto spesso dalla paura e dall’allarmismo.
L’esatto contrario di quel che serve per costruire coesione e amicizia sociale.
Maurizio Ambrosini è un sociologo dell’Università Statale di Milano, tra i massimi esperti in Italia nello studio delle migrazioni.
Non usa troppi giri di parole: la narrazione attuale sull’immigrazione è semplicemente falsa.


Qual è quella vera?
Purtroppo ci facciamo condizionare molto dalla narrazione sovranista che ci racconta un fenomeno in crescita esponenziale, molto legato agli sbarchi. In realtà, dal 2010 l’immigrazione è stazionaria, da dopo la crisi del 2008 non è praticamente cresciuta. In Italia vivono circa 5,3 milioni di immigrati regolari, tra i 400mila e 600mila irregolari, 400mila sono richiedenti asilo.
La metà sono donne, per metà sono europei, 3/5 da Paesi di tradizione cristiana. L’Unione Europea nel 2021 accoglieva meno del 10% dei rifugiati del mondo. E in Italia siamo molto al di sotto della media. È pazzesco pensare che sia stato fatto credere agli europei di essere invasi dagli immigrati e che il nostro Paese sia il campo profughi del continente. I dati dicono il contrario, ma la gente non se ne vuole convincere.

Come mai?
Il problema è lo sfruttamento comunicativo e politico di certi aspetti delle migrazioni.
Prendiamo il caso italiano. Da noi vivono 2 milioni e 400mila immigrati che lavorano regolarmente, il 10% dell’occupazione totale. Nel 2022 abbiamo accolto gli ucraini, dimostrando che è possibile farlo. L’attuale governo continua questo tipo di accoglienza, mentre alza la voce sulla questione relativa all’immigrazione generale. Al tempo stesso, con il decreto flussi si è deciso di aprire le porte a 450mila lavoratori per i prossimi anni.
Chiaramente rispetto a queste persone non si parla né di invasione né di sostituzione etnica. C’è un sondaggio che viene proposto periodicamente sulla percezione del numero di migranti nel nostro Paese. Il dato vero è il 9%, ma la percezione è del 26%. Vorrebbe dire quasi 18 milioni di persone!
L’opinione pubblica proietta le proprie paure, le ansie per il futuro, molte frustrazioni.
E gli immigrati sono il capo espiatorio di tutto questo.

Come si supera questo problema?
Dobbiamo fare un passo in avanti rispetto alle narrazioni tossiche e fondarle su dati di verità. Ribadisco: non dobbiamo limitare il discorso agli sbarchi e alla gestione degli sbarchi. L’Italia ha dimostrato un’insospettabile capacità di accogliere che non era prevedibile anni fa. Il tutto è avvenuto tramite sanatorie, a posteriori. Abbiamo gestito in modo approssimato ed emergenziale, ma tutto sommato ha funzionato, soprattutto grazie alle famiglie che sono state i principali datori di lavoro di questa immigrazione: pensiamo al fenomeno delle badanti straniere. Secondo me il limite è un altro.

Quale?
La nostra integrazione è legata al lavoro povero, subalterno.
Per gli stranieri non c’è ancora posto nelle posizioni apicali. Così molti giovani vanno in altri Paesi perché lì trovano maggiori opportunità.
La nostra gestione non è organizzata e nemmeno lungimirante.
Eppure, la nostra società è stata capace di mettere delle pezze e integrare al di là delle istituzioni.

Cosa si dovrebbe fare per rendere il sistema di accoglienza più equilibrato?
Recentemente l’Unione Europea ha ribadito la linea dura…
Le recenti chiusure europee sono state decise per motivi elettorali. Il tema è cercare di spuntare le forze sovraniste, accettando parte delle loro indicazioni. Ma c’è anche una questione culturale legata a come poniamo le domande.
Se chiediamo ai cittadini medi: «Cosa ne pensate dell’immigrazione?», è un conto. Ma se chiediamo: «Volete medici e infermieri?», è tutta un’altra cosa. Così, «Volete persone che accudiscono i vostri cari?». Domande più precise ci porterebbero a risposte e ragionamenti migliori. Quindi si può ragionare su quello che servirebbe.
Pensando ai migranti economici, tra le soluzioni penso alla figura dello “sponsor”, a figure di riferimento che aiutino l’integrazione e garantiscano per il lavoro. Per quanto riguarda i rifugiati, ci sono già tante soluzioni, ma non c’è la volontà politica di applicarle e implementarle. In Canada per esempio, esistono le sponsorizzazioni private: enti, associazioni, gruppi religiosi che si rendono disponibili ad accogliere a proprie spese.
Altro strumento è quello dei corridoi umanitari e potrei continuare. Prima di tutto, serve la volontà politica…

Come si costruisce la vera integrazione?
Il termine integrazione genera discussioni, ma non ci sono alternative. Bisogna partire da tre punti fermi per chi arriva.
Il primo è avere una dignità di vita nel nuovo Paese, il secondo passa dalla relazione e dallo scambio con gli abitanti, il terzo dalla possibilità e volontà di far parte di quella comunità attraverso lo strumento della cittadinanza.
Tutto questo spesso non avviene e l’ostacolo è nelle istituzioni che spesso discriminano gli immigrati. Pensiamo ai criteri per l’assegnazione degli alloggi popolari o all’erogazione di molti servizi.
Diverse associazioni hanno denunciato la situazione, ma non basta, anche perché gli immigrati non protestano.
Sono loro i primi ad accettare una certa subalternità e questo mix non favorisce una vera immigrazione. Il compito non spetta solo alla politica, ma anche alla società e al mercato. Quando l’economia cresce, c’è maggiore possibilità di assorbire l’immigrazione come forza lavoro.
 

Matteo Spicuglia
NP Focus
maggio 2024

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