La salute non è tutto

Pubblicato il 13-07-2019

di Flaminia Morandi

Flaminia Morandi - MINIMAdi Flaminia Morandi - La salute è tutto: una frase che i cristiani non dovrebbero mai dire. Per la cultura corrente, secolarizzata, la salute è la base della felicità e la morte un incidente imbarazzante intorno al quale c’è una congiura del silenzio: la morte, meglio ignorarla, non deve far parte della vita.

Le uniche malattie che interessano i cristiani invece sono quelle spirituali, i batteri dei pensieri negativi che penetrano nel cuore di soppiatto, mettono radici, creano confusione nella mentalità, abitudine al male e il tumore del peccato. Il vero senso dell’unzione dei malati, detta impropriamente estrema unzione, è proprio questo. La chiesa russa la dà a tutti i suoi fedeli, tutti, il giovedì santo. La chiesa greca celebra il rito nelle famiglie, indipendentemente dalla salute fisica. Il suo scopo non è affatto la guarigione del corpo: l’unzione è un sacramento, cioè un rito di trasformazione dal vecchio al nuovo, un ingresso dell’uomo nella vita del Regno, nella gioia e nella pace dello Spirito Santo. La Chiesa non pensa affatto a ripristinare una salute che prima o poi verrà persa: viene a introdurre la persona nell’Amore e nella Vita, che è Cristo. Non viene a confortare il malato, ma a fare di lui un martire, cioè uno che vede “i cieli aperti e il Figlio dell’Uomo che sta alla destra di Dio” (Atti 7, 56), uno che ascende alla pienezza dell’Amore.

La sofferenza resta spaventosamente normale, la morte di una persona cara resta un dolore terribile davanti al quale Cristo piange come per Lazzaro e prova paura e angoscia quando si avvicina la sua. Ma lì, in quel dolore contemplato, comincia veramente la vittoria sulla morte da cui è nato il cristianesimo. Così ripete in tutti i suoi scritti Alexander Schmemann, prete e teologo ortodosso emigrato negli Usa, morto nel 1983: il cristianesimo non è una religione che come tutte le religioni cerca di “aiutare” l’uomo a vivere e a morire. Il cristianesimo è la visione sacramentale della vita, anzi, è il sacramento della nostra morte. La liturgia della morte cristiana la celebriamo ogni Pasqua, ogni domenica, ogni festa, quando mangiamo alla tavola del Signore nella Gerusalemme celeste il pane che egli spezza per noi, semi di grano macinati nella sua pagnotta-Chiesa.

Ad ogni liturgia noi siamo già nella vita risorta di Cristo: in lui la grande Pasqua, il passaggio del mondo a Dio, è già cominciata. Vista da fuori, la risurrezione resta una follia: non serve, per giustificarla, camuffarla con le antiche dottrine precristiane sull’immortalità e sulla sopravvivenza dell’anima. Non so niente né dell’immortalità dell’anima né della risurrezione dei corpi, dice Schmemann: so che tutte le vite e tutta la mia vita si compiono in Cristo. In lui, dentro di lui, nella sua pagnotta, la mia morte diventa un atto di vita, perché lui l’ha riempita di sé, del suo amore, della sua luce.

Flaminia Morandi
MINIMA
Rubrica di NUOVO PROGETTO

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