La rivincita di william coley

Pubblicato il 21-05-2025

di Valentina Turinetto

Tra le terapie più recenti che si stanno sviluppando per il trattamento e la cura dei tumori, ci sono quelle che coinvolgono l’attività del nostro sistema immunitario. Sappiamo che il nostro sistema immunitario viene “educato”, quando ancora siamo nelle prime fasi di sviluppo, a riconoscere ciò che è appartenente al corpo da ciò che invece ne è estraneo. Se qualcosa di estraneo arriva, il sistema immunitario riconosce delle “bandierine nemiche” e si attiva a difesa del nostro corpo.

Già molti anni fa, alla fine dell’Ottocento, un medico statunitense aveva intuito che nelle cellule tumorali possono esserci delle modifiche tali che il sistema immunitario potrebbe non più riconoscerle come proprie, ma trattarle come estranee. William Coley aveva infatti osservato che un paziente con un tumore si era ripreso in seguito ad un’infezione della pelle. Dopo questa osservazione, provò a ripetere dei trattamenti su altri pazienti, usando un cocktail di batteri morti e ottenne dei risultati positivi; per lui questi risultati significavano che risvegliare il sistema immunitario poteva essere una via per renderlo capace di reagire contro un tumore. La sua idea non fu accettata rapidamente nel mondo scientifico e passarono decenni prima che fosse presa in considerazione e portata avanti. Coley oggi è considerato il padre dell’immunoterapia dei tumori, materia che è alla base della ricerca per creare una nuova generazione di terapie, conosciute come “vaccini antitumorali”: vaccini che addestrano il sistema immunitario a riconoscere le “bandiere nemiche” sulle cellule dei tumori. Gli studi sono iniziati quasi cinquant’anni fa e iniziano ad esserci i primi risultati.

Il sistema immunitario cerca di evitare la crescita di tumori andando a caccia di possibili cellule anomale; se il tumore riesce a nascondere le sue “bandierine” (e di solito è molto bravo in questo giochetto), le cellule possono crescere e diffondersi. Negli ultimi anni, con le nuove tecnologie che permettono di conoscere il dna delle cellule tumorali, si sono individuate centinaia di mutazioni che le distinguono dalle cellule normali. Alcune di queste mutazioni sono responsabili nella generazione delle famose “bandierine”. L’idea alla base dei vaccini antitumorale è quella di addestrare il sistema immunitario per riconoscere subito le “bandierine”, prima che le cellule tumorali le nascondano. Grazie agli sforzi compiuti in questo campo, ad oggi ci sono studi clinici relativi a vari tipi di tumori, tra cui melanomi, tumori del pancreas, carcinomi ovarici, tumori al seno e glioblastomi, volti all’utilizzo di vaccini di questo tipo.

L’intuizione di Coley è stata fondamentale per aprire questa strada, su cui si è ancora in cammino, per avere terapie sicure ed efficaci, che potrebbero ridurre la necessità di trattamenti più invasivi come la chirurgia e la chemioterapia. Magari in futuro sarà anche possibile usare questi vaccini a scopo preventivo su persone a più alto rischio di sviluppo di neoplasie.


Valentina Turinetto
NP febbraio 2025

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