LAB.FAMIGLIA/4: La porta aperta

Pubblicato il 08-10-2009

di Valentina Turinetto

In un incontro organizzato dall’Università del Dialogo del Sermig, Bruno ed Enrica Volpi - fondatori dell’Associazione “Mondo di Comunità e Famiglia” - ci hanno parlato delle basi del loro essere coppia da ben 43 anni: amore e solidarietà.

a cura di Valentina Turinetto
La nostra storia è quella di un cammino che ci ha portato a scelte che non immaginavamo né cercavamo. Siamo sposati da 43 anni, abbiamo avuto dei figli nostri, ne abbiamo aiutati a crescere parecchi altri, e ancora oggi viviamo insieme ad altre persone. Tutto ciò non era programmato; noi ci eravamo sposati perché ci amavamo e pensavamo di realizzare la nostra famiglia nel migliore dei modi.

Quando ci siamo incontrati, ci siamo capiti in fretta. Già prima di sposarci frequentavamo la chiesa e ogni volta che finiva un bell'incontro di preghiera, tornando a casa ci arrabbiavamo: sapevamo già che il giorno dopo, andando a lavorare, ci saremmo sentiti a disagio, perché non saremmo riusciti a vivere quello che realmente ci sarebbe piaciuto. Sentivamo distacco tra la realtà quotidiana e l'idealità. Ci sembrava già allora che il nostro amore non fosse sufficiente alla nostra vita, così abbiamo cominciato a guardare fuori dal nostro paese, a conoscere nuove realtà….

"Se andassimo in una missione a fabbricare la chiesa, in modo che il missionario possa fare il missionario anziché il muratore?". Così è nata la nostra vocazione. Ci siamo sposati, abbiamo messo tutto in un baule e siamo partiti, con l'idea di stare via due anni; siamo rimasti in Rwanda otto anni. Siamo partiti in due e siamo tornati in sette; noi due, quattro figli nostri e una che abbiamo trovato già bella fatta! Il nostro viaggio di nozze è stato questo, una luna di miele felice.
La nostra storia è nata lì, come missionari laici. Abbiamo imparato alcune cose che poi ci siamo portati dietro. Il ritorno è stato faticoso: seppure avessimo tutto, il lavoro, la casa… sentivamo di non avere niente. In Africa avevamo vissuto otto anni non facili, ma veramente felici. Arrivati a casa non ci capivamo più, rischiavamo di perderci. L'uno andava via al mattino, l'altra era a casa con i figli; la sera eravamo entrambi stanchi e mettevamo in comune solo i problemi. Facevamo fatica a intenderci, perfino a guardarci in faccia e abbiamo capito che o cambiavamo qualcosa o non ce l'avremmo fatta.
Abbiamo ragionato sul momento felice vissuto, abbiamo cercato di capire cosa ci stava succedendo, abbiamo deciso di ripartire. Forse la Provvidenza ci aspettava, ma non lo sapevamo…

Logo dell'associazione
Mondo di Comunità e Famiglia
Dal paese ci siamo spostati in città, a Milano. Erano gli anni '70, anni di piombo, i giovani però sognavano e volevano cambiare il mondo.
Abbiamo incontrato delle persone con le quali si è formato un gruppo, che poi è diventato comunità. Vivevamo in una casa che avevamo occupato. Le case occupate non hanno molte porte, molte finestre - sono state rotte per entrarvi - e così è cominciata la nostra vita a porta aperta... Un giorno incontriamo un'assistente sociale: "Ho qui una ragazzina che credo starebbe benissimo insieme a voi". Aveva tentato il suicidio, era stata in ospedale psichiatrico, aveva una famiglia distrutta alle spalle… La nostra casa si è riempita di bambini così.

La nostra è diventata una famiglia grande, dove c'erano i nostri figli, ma anche altri 6 o 7 adolescenti che avevano provato l'istituto, erano stati in affido, riportati dal giudice... Sono entrati in casa nostra e ci hanno salvato: ci hanno tolto un ruolo che tante volte distrugge la famiglia. La paura che noi genitori abbiamo di fronte ai nostri figli adolescenti non è buona consigliera; questi ragazzi ci hanno aiutato a liberarci dalla paura del futuro. Non eravamo colpevoli della loro nascita ed era più facile accettarli senza essere oppressi dall'ansia.

In una famiglia così complicata, noi due rischiavamo di diventare degli operatori sociali, degli educatori. Una volta un ragazzino mi ha detto: "Cosa vuoi da me, non sei nemmeno mio padre; e poi, guarda tua moglie!". Questo ragazzo era il frutto di un amore che non aveva funzionato: abbandonato, finito in istituto; non voleva due genitori perfetti, che gestissero bene la famiglia, voleva vedere Enrica e Bruno che si amavano, non a parole, ma coi fatti, perché questo lo rassicurava. I nostri figli non hanno bisogno di tante cose fatte per loro, hanno bisogno di vedere un uomo e una donna che si amano, perché loro sono il frutto dell'amore e crescono con questo amore. Una famiglia è un uomo e una donna in relazione: i figli nascono e poi devono andare, hanno bisogno di liberarsi di noi; noi li abbiamo messi al mondo e noi dobbiamo amarci.

Ad un certo punto abbiamo dovuto cambiare casa; cercavamo una casa su misura, ma la Provvidenza non voleva una casa che andasse bene a noi, voleva una casa che andasse bene a Lei... L'unica che abbiamo trovato era una casa abbandonata con oltre 100 stanze. C'era spazio e allora noi ne abbiamo presa una parte e quando si è presentata un'altra famiglia ha preso uno spazio accanto. Col tempo abbiamo capito che la famiglia non doveva essere in funzione della comunità, ma una comunità poteva essere utile alla famiglia.

Per noi la famiglia è importantissima, deve essere sovrana in casa sua.
Così è nata la prima comunità, che poi abbiamo chiamato condominio solidale. Come famiglia avevamo bisogno di stare insieme, e poi avevamo bisogno della vicinanza di altri per poter realizzare meglio la nostra vocazione di famiglia. In Africa si dice che per crescere bene un bambino ci vuole un villaggio: un bimbo non è figlio soltanto di un uomo e di una donna, ma anche del villaggio e tutti gli occhi sono attenti alla sua crescita. Dov'è finito il villaggio qui da noi? Ecco perché abbiamo chiamato la nostra casa condominio solidale: il condominio è il luogo della privacy, ma noi lo vogliamo solidale. Cosa vuol dire? Ci sono un papà e una mamma, con la sovranità sulla propria famiglia (che responsabilizza su ciò che si fa); sono sovrani ma non soli, sono solidali; sanno che alla porta accanto c'è qualcuno su cui possono contare e lui sa, deve sapere, che loro si sentono solidali con lui.

La base del condominio è un cammino per capire chi siamo; capendoci ci conosciamo un po' di più, abbiamo un po' meno paura l'uno dell'altro, possiamo fidarci. Il condominio solidale è basato non solo sulle parole, ma anche sui fatti. La parabola dei talenti dice di utilizzare i talenti che Dio ci dà e di prendere ciò di cui abbiamo bisogno. La nostra forza è il gruppo. Problemi ce ne sono anche in un condominio solidale, però non diventano drammi; e magari quello che non riesci a capire o risolvere tu, lo capisce un altro. La beatitudine della povertà di cui parla Gesù forse è proprio questa: il povero è colui che ha bisogno, ed io per vivere ho bisogno degli altri che mi stanno vicino.

deregistrazione non rivista dagli autori,
a cura di Valentina Turinetto


da Nuovo Progetto agosto/settembre 2006

Info: www.comunitaefamiglia.org
e-mail: mcfsegreteria@fastwebnet.it

L'amore più grande.
Santa Gianna Beretta Molla
Giuliana Pelucchi
Ed.Paoline 2004




Gianna nasce a Magenta il 4 ottobre 1922 da genitori di profonda e serena fede. Il 30 novembre 1949 si laurea in medicina, specializzandosi in pediatria. Nel settembre 1955 sposa Pietro Molla. Nascono Pierluigi, Mariolina e Laura. Nell'estate del 1961 subentrano problemi per la quarta gravidanza, è urgente intervenire chirurgicamente. Gianna non ha dubbi: comunicata al marito la sua decisione, prega il chirurgo che si anteponga la vita della sua creatura alla propria. Il 21 aprile 1962 nasce Gianna Emanuela, perfettamente sana. Per la madre, invece, non ci sono speranze. Gianna muore il 28 aprile, a meno di quarant'anni.
Beatificata il 24 aprile 1994, viene proclamata Santa da Giovanni Paolo II il 16 maggio 2004.


La rivista Nuovo Progetto ha realizzato un sondaggio sulla famiglia:
Laboratorio famiglia/1

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