La politica del condono

Pubblicato il 03-10-2024

di Carlo Degiacomi

C’è ancora qualcuno che non crede alla crisi climatica? Guardate quanto le assicurazioni hanno rimborsato negli ultimi anni. Le polizze delle case del 25%, proprio a causa degli eventi estremi. Prima delle elezioni, l’Europa con 370 voti favorevoli, 199 contrari, 46 astenuti ha approvato definitivamente la direttiva “case green”. Contro Italia (i partiti di governo) e l’Ungheria. Proviamo a fare qualche ragionamento con realismo. Entro due anni i Paesi membri dovranno recepire la direttiva, emanare leggi e misure in grado di promuovere la riqualificazione edilizia. Secondo la Banca d’Italia, l’Italia ha il patrimonio edilizio più vecchio d’Europa: su circa 36 milioni di edifici residenziali, sono circa 9 milioni quelli con “prestazioni energetiche” scadenti. L’80% avrebbe bisogno di interventi di riqualificazione energetica: in modo da passare dall’attuale livello F o G a uno o due superiori. 2,15 milioni di edifici sono stati costruiti prima del 1919; 1,38 milioni tra il 1920 e il 1945; 1,66 milioni di edifici tra il 1946 e 1960; 1,97 milioni negli anni ’60; 1,98 milioni negli anni ’70. Ben il 41% di tutti questi edifici sono stati costruiti da figure professionali come capi cantiere e mastri costruttori e sono spesso caratterizzati da abusivismo e poca qualità costruttiva e dei materiali. È un grave problema, soprattutto in aree fortemente sismiche. Altro dato importante: il 70% della popolazione vive in edifici precedenti al 1980.

La vicenda del superbonus (110% e facciate, ma anche ecobonus, sismabonus e altri crediti edilizi) è piuttosto controversa. Si possono però evidenziare con oggettività alcuni elementi: l’idea era buona, è però stata pessima l’applicazione, senza decreti attuativi in grado di evitare interpretazioni perverse e applicazioni scorrette (con responsabilità evidenti dei politici e dei dirigenti dei ministeri); pessimi i controlli; troppe speculazioni sui materiali e improvvisazione di aziende senza professionalità.

Vale la pena condividere qualche altro dato sul tema: dal settembre 2021 al marzo 2024 sono stati 500mila gli edifici interessati (per oltre 110 miliardi di euro), nello specifico 94mila condomini e 240mila edifici unifamiliari. Adesso con l’ultimo provvedimento, le forme retroattive hanno fatto ulteriormente calare la fiducia nello Stato, hanno frenato i lavori senza proporre alternative di medio periodo, hanno demoralizzato il settore e chi vuole investire. L’intera vicenda dimostra l’importanza di avere un piano nazionale di ristrutturazione del comparto edilizio in grado di attivare incentivi giusti (e non miracolosi) per diffuse scelte private. Bisogna applicare un sistema ragionevole di scelte che evitino eventuali distorsioni. Potrebbe essere utile dare almeno la priorità ai nove milioni di edifici con classe energetica più bassa.

Un primo calcolo grossolano porta un impegno delle risorse attuali nel parco immobiliare di circa 120/150 milioni all’anno di investimenti fino al 2035. Il tutto per definire delle percentuali di rimborso sostenibili e – allo stesso tempo – incentivanti. L’attuale classe politica è troppo ancorata all’ieri e all’oggi e fatica a pensare al domani. Eppure, i cittadini (specie chi abita in condomini) sanno ormai bene che si vive meglio e si risparmia in case con interventi di efficientamento energetico e adeguati alle nuove condizioni climatiche. Senza per questo ignorare le difficoltà economiche delle famiglie. Vanno studiati strumenti finanziari ad hoc, fondi di garanzia, mutui, incentivi, detrazioni fiscali e sconti in fattura, ma diversificati a seconda delle tipologie e dei redditi.

Un intervento graduale e realistico, ma deciso, con obiettivi intermedi, che mettano insieme tre aspetti: contrasto al cambiamento climatico, risparmio energetico, lavoro (in sicurezza!) nel settore edile (con una maggiore qualificazione professionale delle imprese private). L’Europa non ha per ora previsto stanziamenti dedicati. Però, per sostenere gli investimenti, ogni Stato può sin da subito attingere ai fondi europei dedicati alla Coesione Europea (fino al 2027 l’Italia avrà a disposizione 78 miliardi (!) per programmi per la transizione verde); al Fondo Sociale per il clima (per tutti i Paesi 65 miliardi dal 2026 al 2032); al Recovery Fund, ai Fondi di sviluppo regionale per la riduzione dei divari territoriali. E ancora ci sono i finanziamenti della BEI che investe 45 miliardi di euro aggiunti per accompagnare gli obiettivi di RepowerEu. Purtroppo «Come accedere a questi fondi?» non è un tema comparso nella campagna elettorale europea. Meglio polemiche irrilevanti o spiegare che la soluzione in edilizia è condonare.


Carlo Degiacomi
NP giugno / luglio 2024

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