La Parola e i poveri

Pubblicato il 24-08-2020

di Flaminia Morandi

Freme il mio cuore cominciando a narrare i disastri dei nostri tempi. Sono più di vent’anni che tra Costantinopoli e le Alpi Giulie scorre ogni giorno il sangue romano. Scizia, Tracia, Macedonia, Tessaglia, Dardania, Dacia Epiro, Dalmazia e tutte le Pannonie sono state devastate, straziate, saccheggiate da Goti, Sarmati, Quadi, Alani, Unni, Vandali e Marcomanni… I vescovi son condotti schiavi, i sacerdoti uccisi, e così i chierici dei diversi gradi; le chiese devastate, i cavalli schierati presso gli altari di Cristo come in una stalla, le reliquie dei martiri dissepolte. Dovunque è lutto… dappertutto l’immagine della morte. Il mondo romano crolla…, scriveva san Girolamo nel 396. Anche un cristiano doc, conoscitore profondo delle Scritture e del “non c’è più né giudeo né greco, né scita né barbaro” di Paolo, era angosciato davanti alla trasformazione profonda del mondo, di cui era testimone.

E pensare che gli storici contemporanei dicono che l’inizio della lunga storia delle cosiddette invasioni barbariche che travolsero l’impero romano non fu altro che un’emergenza umanitaria. Sulla frontiera del Danubio, dalla parte della riva esterna, si erano accampate folle di barbari, Goti che avevano abbandonato le loro case minacciate dalla furia degli Unni. Pacificamente avevano chiesto ai generali dell’esercito romano, che sorvegliavano il confine dalla parte interna della riva, nella terra dell’impero, di essere accolte nella felicità romana. L’imperatore Valente, avvertito, aveva visto in questa massa di gente una fortuna insperata: stava per fare guerra all’Iran e aveva bisogno di uomini da arruolare.

I Goti perciò erano stati fatti entrare, ma senza nessuna organizzazione e con molta corruzione: molti di loro, mediante un pizzo, erano riusciti a tenersi le loro armi. Ma nell’impero c’era la devolution: ogni città aveva il potere di decidere autonomamente cosa fare.
Alcune città avevano accolto i profughi, altre no, nonostante l’imperatore avesse emanato una legge che imponeva di assegnare delle terre agli immigrati.
Ma molte assegnazioni, ancora una volta mediante il solito pizzo, erano state fatte illegalmente. Alla fine le tensioni si erano trasformate in scontri. E gli scontri erano diventati massacri, stupri, violenze, persecuzioni, atrocità di ogni tipo.

Più o meno due secoli dopo, papa san Gregorio Magno leggerà nel destino di Roma distrutta dai Longobardi il compimento della profezia di Ezechiele e della sua pentola bollente: di questa città si dice che le ossa del popolo sono consumate, che il corpo intero è bollito. Sì, la pompa del mondo è passata, scriveva il papa… Ma come per Israele al tempo dell’esilio, c’è un resto: i poveri. Nessuna istituzione può essere garanzia alla Chiesa. Il Corpo di Cristo vive solo e unicamente per la Parola di Dio, per la cura e il servizio dei suoi poveri.

Flaminia Morandi
NP giugno / luglio 2016

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