La necessità della scoperta
Pubblicato il 10-07-2024
Sono nato alla fine degli anni Sessanta in un piccolo paese della campagna piemontese. Figlio di contadini e operai, gente che si spaccava la schiena dall’alba al tramonto. Cresciuto in uno di quei posti dove l’apice del divertimento era la festa patronale, il ballo al palchetto o la gara di tiro alla fune. Non che il paese non mi piacesse, adoravo i miei amici e l’aria di campagna, ma io volevo vedere quello che c’era nel mondo. Ne ero certo, da lì volevo andarmene appena possibile. Per la cronaca va detto che all’epoca non c’era internet e nemmeno le compagnie aeree low cost. Viaggiare era un lusso, non come oggi un’abitudine da condividere su Instagram.
Per dire, nella mia famiglia i più audaci fino ad allora erano stati i miei genitori che per la loro luna di miele avevano azzardato un viaggio di quattro giorni a Sanremo. Loro teneramente la descrivevano come avventura, i miei nonni come una pazzia imperdonabile. I tentativi che avevo fatto per iniziare a viaggiare per il mondo erano sempre falliti per mancanza di soldi, paura o semplicemente non ci avevo creduto abbastanza. La mia occasione per fuggire arrivò durante il servizio di leva. Veniva offerta la possibilità di arruolarsi in una sezione dedicata alle esercitazioni militari fuori dai confini italiani. Una delle condizioni necessarie per accedervi era saper fare qualcosa di utile per l’esercito. Azzardai che, se poteva essere utile, io sapevo fare le fotografie. In realtà fino a quel momento non avevo mai preso in mano una macchina fotografica. Per mia fortuna decisero che un fotografo poteva servire. Fu così mi ritrovai su un aereo in partenza per la Turchia con una macchina fotografica appesa al collo. Qualche mese dopo in Portogallo, poi in Norvegia e infine in Danimarca. Nel frattempo, con impegno e dedizione, imparai anche a fotografare benino ma soprattutto iniziai a viaggiare che era la cosa che davvero mi interessava.
Ora se vi state chiedendo: «Cosa c’entra la fotografia di un leopardo in questa storia?»… ne avete tutte le ragioni. Ecco quando finì il servizio di leva, tornai a casa e dissi ai miei genitori che sarei diventato un fotografo. Non furono particolarmente entusiasti anche perché non volevo diventare un semplice fotografo, non volevo aprire un negozio in paese, volevo fotografare il mondo e pubblicare sulla rivista più importante del momento, il National Geographic. Feci un abbonamento alla rivista verificando così che la maggior parte delle fotografie presenti sul giornale riguardavano gli animali. I miei primi viaggi da fotografo furono i safari alla ricerca dello scatto perfetto. Kenya, Tanzania, Sudafrica e Botswana. Nel giro di un paio d’anni accumulai un discreto portfolio di fotografie interessanti. Così preparai un pacco e lo inviai alla sede del National Geographic di New York. La settimana successiva ricevetti una telefonata. Volevano acquistare quattro mie fotografie per un milione di lire! Tra quelle fotografie c’era anche il primo piano di un leopardo, un animale in via di estinzione che avevo fotografato durante un viaggio in Siberia. In quel momento compresi che finalmente avevo trovato un lavoro vero, ma soprattutto che avrei potuto mantenermi facendo quello che mi piaceva davvero. Avevo realizzato il mio sogno: viaggiare per il mondo fotografando e, da quel momento in poi, non ho più smesso. A volte la chiave per realizzare i sogni è ignorare l’istinto che ci implora di mollare e di arrenderci.
Roberto Cristaudo
NP maggio 2024