La luce della cultura

Pubblicato il 02-01-2021

di Renato Bonomo

«Il mondo storico sta innanzi a noi più oscuro [...] e più incerto e pericoloso di quanto Ranke, e le generazioni [di storici] che credevano nella vittoria della ragione nella storia, lo vedessero. Perché il suo lato naturale e oscuro si è manife- stato più potente al nostro pensiero e alla nostra esperienza». Così, nel 1924, il grande storico tedesco Friedrich Meinecke (1862-1954) rifletteva pessimista sulle possibilità conoscitive della storia.

A differenza di Leopold von Ranke (1795-1886), anche lui eminente storico di un paio di generazioni precedenti e padre del metodo storico, Meinecke abbandona l’ottimismo che, tra l’altro, caratterizzava anche la prima fase della sua riflessione ed era basato sulla convinzione di poter giungere con rigore documentale a comprendere pienamente il passato. Ma Meinecke, a differenza di Ranke, aveva vissuto una guerra mondiale che aveva prostrato la Germania causando crisi economiche e sociali senza precedenti. La portata di quegli avvenimenti aveva condotto lo stesso Meinecke a non riconoscere quasi più quel mondo storico che aveva tanto studiato. Tutto sembrava evolvere verso una mera politica di potenza in cui era possibile usare violenze infami e mezzi immorali pur di conquistare il potere. Per lui, intellettuale di fine Ottocento, era impossibile concepirlo. In realtà, pur trovando aberranti molti aspetti del suo tempo, Meinecke scrisse delle pagine illuminanti che sono valide ancora oggi per comprendere il tempo presente e capire quali strade intraprendere e quali invece evitare.

Ad esempio, Meinecke scrisse del “machiavellismo delle masse” ovvero l'interpretazione erronea ma diffusa della dottrina del genio fiorentino usata per giustificare ogni abominio da parte dello Stato (quello che noi abbiamo reso quasi come un proverbio: il fine giustifica i mezzi). In qualche modo, Meinecke preconizzava alcuni aspetti specifici dei fenomeni totalitari come il nazismo (che tra l’altro conobbe molto bene) in cui l’aggressiva politica di potenza slegata da ogni contenuto etico giustificava ogni tipo di atrocità in nome del popolo o della nazione. Se facciamo attenzione, ancora oggi sentiamo slogan apparentemente innocui e affascinanti come America First. Proprio in America una particolare corrente politica nazionalista e sciovinista dell’Ottocento era solita ripetere «Right or wrong, my country»: giusto o sbagliato è la mia nazione. A nostro avviso, alla luce di quanto Meinecke ha scritto e di quanto si è verificato nell’ultimo secolo, è opportuno pensare che il giusto o sbagliato non abbiano colore o particolari appartenenze nazionali ma debbano essere considerati patrimonio comune dell’umanità... altrimenti saranno guai per tutti.

 

Renato Bonomo

NP novembre 2020

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