La guerra dei numeri
Pubblicato il 11-01-2025
«Nella guerra dei numeri che speranza hanno i deboli?» Recitava così una canzone di qualche anno fa. Domanda per nulla retorica, attualissima in questo tempo complicato. Un tempo in cui anche la pietà sembra ormai “cosificata”, buona da esporre in qualche teca impolverata o da tirare fuori in rare occasioni. Contano i numeri, mai gli individui.
E sembra andarci bene così.pagando di persona se necessario.
È la speranza che passa da una scelta di campo, quella di chi prova a vedere nell’altro, chiunque sia, una persona come me, come noi. Significa abolire la parola “nemico”, riconoscerci reciprocamente nell’umanità che ci abita e ci definisce, provare sistematicamente a metterci nei panni degli altri. Solo così i deboli, ma anche chi si sente forte e debole prima o poi lo diventerà, potranno avere una speranza anche piccola di incontro, di dialogo, magari di ricomposizione di conflitti e ferite.
Dipende solo da noi cambiare direzione. Se lo faremo, la logica dei numeri forse vincerà qualche battaglia, ma mai la guerra.
Accade con la fredda contabilità della guerra, con l'assuefazione di fronte a cifre senza senso: centinaia di migliaia di vittime, tra civili e soldati. Numeri, ruoli. Eppure, persone con affetti, speranze, progetti, talenti, limiti. Semplicemente i chiaroscuri di vite condannate al silenzio, all'impossibilità di esprimersi e fiorire. Per cosa?
Accade con le guerre ideologiche, dove l’umano lascia spazio solo a strategie di corto respiro e a parole in libertà. Guerre dove un ministro, di fronte a un migrante ucciso da un poliziotto, senza conoscere la dinamica dei fatti, arriva a dire: «Con tutto il rispetto, non ci mancherà». Evidentemente si deve più pietà a un cane o a un gattino investito.
Accade ogni volta che ci si sbrana per difendere le proprie posizioni, soprattutto sui temi etici. Siamo bravi a snocciolare tesi, giudizi, lezioni, usando spesso le parole come pietre da scagliare. Facciamo così perché indipendentemente dalla bontà delle idee schierarsi ci identifica, ci rassicura, ci permette di scansare la complessità del mondo e dell'anima. Senza rendersi conto che la logica delle contrapposizioni per categorie rappresenta un’altra forma di disumanizzazione.
Nella categoria, l’altro non esiste, esiste solo ciò che rappresenta. Numeri e basta.
Dunque, nella guerra dei numeri che speranza hanno i deboli? Una speranza c’è, a patto che la si metta al primo posto per scoprirla, alimentarla, difenderla, pagando di persona se necessario.
È la speranza che passa da una scelta di campo, quella di chi prova a vedere nell’altro, chiunque sia, una persona come me, come noi. Significa abolire la parola “nemico”, riconoscerci reciprocamente nell’umanità che ci abita e ci definisce, provare sistematicamente a metterci nei panni degli altri. Solo così i deboli, ma anche chi si sente forte e debole prima o poi lo diventerà, potranno avere una speranza anche piccola di incontro, di dialogo, magari di ricomposizione di conflitti e ferite.
Dipende solo da noi cambiare direzione. Se lo faremo, la logica dei numeri forse vincerà qualche battaglia, ma mai la guerra.
Matteo Spicuglia
NP novembre 2024