La domanda del giorno

Pubblicato il 29-07-2021

di Max Laudadio

Oggi mi sono svegliato con dei dubbi che mi perseguitano da quando il buon Dio ha deciso che la mia vita doveva trovare strade e destinazioni diverse da quelle che conoscevo, e che sempre più frequentemente mi obbligano a non far finta che non esistano ma addirittura mi costringono a cercare immediatamente delle risposte concrete e soddisfacenti. Spesso però, quando questo avviene, mi sento inadeguato, debole, confuso, perché so benissimo che dietro a questi dubbi c’è il tentativo di comprendere il vero senso della nostra vita, e capisco che non sia così facile da fare.

La domanda che mi tormenta è sempre la stessa: qual è la mia vera missione? Sono sicuro che molte persone hanno la volontà di non rimanere in superficialità sulle questioni che riguardano la propria anima e il proprio sentire, ma sono altrettanto certo che spesso preferiamo rimandare ogni approfondimento perché richiede una quantità di energia che non sempre siamo disposti a mettere in campo. Ho già scritto varie volte che per me il non agire nei credenti è un sintomo da non trascurare e, forse, perché nasconde la non comprensione del messaggio cristiano ma, questa volta, vorrei aggiungere che il non agire finisce per rendere inutili anche le buone intenzioni. Così, con il caos che ritrovo ogni volta che mi impongo di riflettere più approfonditamente, sono entrato in chiesa.

Ultimamente lo faccio spesso, la mattina prima di immergermi nei meandri del lavoro, e sempre di più da quando ho accettato che sono un peccatore seriale, e l’ho fatto con l’intento dichiarato di voler cercare un dialogo profondo, intenso, uno di quelli che non sempre riesci ad avere con Dio ma che, quando capitano, ti confermano che non sei solo. In chiesa non c’era nessuno, nemmeno le poche signore anziane con le quali condivido la funzione religiosa durante la settimana, ma non ho percepito la loro assenza anzi ho respirato da subito un senso di protezione, ascolto e accoglienza. A dire il vero non ho pregato come al solito, mi sono limitato a fissare il crocifisso alternando lo sguardo tra la riproduzione in legno di Cristo e un piccolo libretto contenente delle riflessioni su san Francesco. Stavo bene. Mi sentivo in pace.

In questa solitudine colma d’amore è apparso don Sergio tra le colonne romaniche e mi ha raggiunto. Prima abbiamo scambiato quattro chiacchiere sul mio lavoro e, successivamente, ho sentito il desiderio di confessarmi e così l’ho fatto. Non voglio raccontare quello che ci siamo detti ma è evidente che le mie parole hanno sottolineato i sensi di colpa, l’incertezza, e le paure che mi affliggono, ed è altrettanto evidente che non potevo esimermi dal chiedere a lui cosa ne pensasse della domanda che quella mattina mi aveva portato lì. Don Sergio da buon teologo ha sfruttato tutta la sua conoscenza per cercare di aiutarmi, ma è stata la praticità con la quale si è approcciato all’argomento che mi ha colpito. Il parroco ha sottolineato più volte che nessuno di noi si può sentire la responsabilità di salvare il mondo, e questo è necessario averlo ben chiaro se non vogliamo rischiare di sentirci costantemente inutili, ma anche che se vogliamo focalizzare le nostre energie affinché queste possano diventare un dono per gli altri non serve cercare qualcosa in particolare ma è sufficiente mettersi in ascolto e aspettare l’occasione giusta perché prima o poi qualcuno busserà alla nostra porta. Don Sergio ha concluso sottolineando che solo così potremmo capire quale sia veramente la nostra missione e che non riusciremo mai ad attuarla se prima non impariamo anche a rispondere con un Sì. E sia ben chiaro, ascoltare è sinonimo di sentire con il cuore non con le orecchie.

Tornato a casa ho raccontato a mia moglie quello che mi aveva detto il don e lei ha sorriso. Devo essere sincero, sono mesi che mia moglie continua a ripetermi che non devo cercare niente di particolare ma che devo solo imparare ad ascoltare meglio, e sono mesi che invece io continuo a cercare senza ascoltarla. Ma non solo, perché ad aggravare la mia posizione di apprendista cristiano in continua formazione, come ben sapete Ernesto Olivero ha fatto della Regola del Sì uno dei fondamenti dell’Arsenale e io l’ho letta e riletta ma, evidentemente, lo devo fare di nuovo. Si comincia da 1 è il titolo che ho dato a questa rubrica, e anche al mio primo e unico libro, e l'ho scelto principalmente per due motivi: il primo è perché quell’uno siamo tutti noi, nessuno escluso, ed è il confronto-scontro con noi stessi che genera il desiderio di donarsi agli altri. Il secondo motivo invece è più personale e sapete quale è? Non dimenticarmi mai che il primo che sbaglia sono sempre io.


Max Laudadio
NP aprile 2021

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