La difficile sinodalità

Pubblicato il 13-06-2019

di Claudio Monge

di Claudio Monge - Cattolici e ortodossi alla prova dei fatti.
Vivendo la realtà di una Chiesa minoritaria al cuore di un cristianesimo che rappresenta esso stesso, nella sua diversità, non più dello 0,1% della popolazione di un Paese maggioritariamente islamico, da tempo sappiamo che l’avere un “Papa”, qualcuno al di sopra del consesso dei suoi pari, non facilita di per sé il compito di pensare, decidere e agire concordi, alleggerendo la quotidiana fatica del camminare insieme come Chiesa.

Nel nostro quotidiano rapporto con il mondo ortodosso abbiamo spesso sentito anche ripetere che le relazioni con Roma potrebbero fare un passo avanti decisivo con la ricerca di un’interpretazione comune del primato petrino in un senso meno verticistico e più sinodale. «Senza sinodalità non esiste l’unità della Chiesa », ricorda spesso nei suoi interventi il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I (foto).

Ma dopo un Concilio pan-ortodosso (Creta 2016), assise plenaria di tutte le Chiese autocefale dell’ortodossia attesa per dodici secoli e preparata per oltre 50 anni, alla fine disertata da quattro Chiese (tra cui quella di Mosca, la più importante al mondo numericamente), e le recentissime tensioni, ancora tra Constantinopoli e Mosca, dopo la consegna del Tomos di autocefalia alla Chiesa ortodossa ucraina, è evidente che l’esercizio stesso della sinodalità non è esente da divergenze molto serie, che sembrano postulare la necessità di un “primato dirimente”, come servizio a quell’unità che il Signore dona nell’azione dello Spirito.

Ma come, questo primato potrebbe essere esercitato nella chiesa ortodossa senza diventare una forma di “papismo”? Il patriarcato di Mosca, pur riconoscendo un primato storico d’onore alla sede patriarcale di Costantinopoli, è sempre stato intransigente nell’affermare che il Primate della Chiesa di Costantinopoli potrà proporre iniziative a livello pan-ortodosso e rivolgersi al mondo esterno a nome della pienezza dell’ortodossia, solo con l’autorizzazione del “consenso” unanime delle Chiese ortodosse locali.

Questo esercizio del consenso sta attualmente però dando più problemi che soluzioni, tanto è vero che, da qualche anno, la proposta è ritornare al canone sesto del primo concilio ecumenico, che stabiliva che le decisioni venissero prese a maggioranza. Evidentemente, la sinodalità (propugnata e ricercata anche da papa Francesco) non la si ottiene a basso prezzo: richiede pazienza, ascolto dell’altro, duttilità nel rinunciare agli aspetti non essenziali dei nostri convincimenti, ma anche risolutezza nel tener fede agli impegni presi e, soprattutto, non è ancora sufficiente a far sì che ciascuno senta come proprio il percorso intrapreso e vi si immetta con fiduciosa convinzione.

Se poi in queste dinamiche interferiscono pesanti interessi politici, allora l’edificazione del Corpo di Cristo, secondo la verità nella carità, che definisce la missione stessa della Chiesa universale, diventa compito improbo. Inutile ricordare, al termine di una ennesima Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, che le sofferte lacerazioni ortodosse attuali rischiano di rendere astratti e idealistici anche certi appelli a applicare, sempre più frequentemente, sistemi di organizzazione “sinodale” alla prassi ecclesiale cattolica.

Claudio Monge
LEVANTE
Rubrica di NUOVO PROGETTO

 

 

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