L'ultimo abbraccio
Pubblicato il 18-02-2025
Chi ha visitato Pompei almeno una volta nella vita sa che vette e abisso, meraviglia e tragedia, fragilità e potenza vivono insieme. La bellezza di un mondo passato che ci viene affidata insieme alle storie di persone come noi, morte purtroppo in un modo terribile. Pompei non finisce di stupire. L’ultima scoperta riguarda i calchi in gesso di alcune vittime: una persona con un bimbo in braccio, un bambino più grande e un adulto rannicchiato vicino, altri due individui uniti in un ultimo abbraccio.
Fino a oggi, gli storici avevano suggerito l’ipotesi più ovvia, il dramma di famiglie sconvolte e braccate dall’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo: una mamma con suo figlio, il marito con l’altro figlio più grande, due sorelle che si consolavano a vicenda.
Nulla di tutto questo. Lo dicono gli esami all’avanguardia realizzati sul dna estratto dalle poche tracce biologiche dei calchi. L’individuo e il bimbo che portava in braccio sono entrambi maschi e non sono parenti.
Così l’altro adulto e l’altro bambino. Delle due presunte sorelle, invece, almeno una è un maschio. Due innamorati? Due sconosciuti? Impossibile dirlo. L’unica certezza è che tutti questi gesti di cura, di protezione, di vicinanza entrarono in circolo tra persone che non avevano legami di parentela.
Non sapremo mai i nomi di queste persone e l’esatta dinamica dei fatti, ma non importa. C’è un messaggio ancora più forte.
Gli sconosciuti di Pompei ci ricordano che di fronte alle prove più estreme l’uomo è nudo, disarmato, capace di andare all’essenziale, di mettere da parte ogni sovrastruttura e di riconoscere semplicemente nell’altro uno come lui. È l’empatia che si scorge in ogni tragedia della storia, quella scintilla di umanità che fa ancora credere nella speranza. Speranza – sia chiaro – alla portata di tutti. Ecco così un adulto che in mezzo alla devastazione vede un bimbo piccolo solo e decide di consolarlo, sapendo che non avrà scampo, ma disponibile a farlo morire nel calore di un abbraccio.
E ancora, un altro uomo che vede il terrore negli occhi di un ragazzo, ma va oltre portandolo con sé, magari infondendogli un po’ di sicurezza nell’ultimo tratto. Oppure, due sconosciuti persi nel nulla, nel freddo della fine imminente, la testa di uno appoggiata sul cuore dell’altro: la celebrazione più alta dell’umano. Pompei è tutto questo. Con una domanda amara che rimane sullo sfondo e che viene rivolta a ognuno di noi: perché non siamo capaci di comportarci così sempre?
Perché non ci crediamo davvero? In fondo, basta poco a cambiare il corso della storia. È sufficiente anche la potenza umile di un abbraccio.
Matteo Spicuglia
NP dicembre 2025