L’estetica del miraggio

Pubblicato il 13-01-2025

di Redazione Sermig

11 gennaio 2012
Nel piccolo villaggio rurale poco distante dalla caotica capitale del Benin, Porto-Novo, all’ora di pranzo, proprio come in qualsiasi altra parte del mondo, le strade sono vuote e più silenziose del solito.
La canicola è mitigata dalla brezza marina che, oltre a smuovere la sabbia che sostituisce l’asfalto stradale, parrebbe essere anche incaricata di portare con sé i suoni di vettovaglie e i lamenti dei cani randagi.

Un forte dominante giallo ocra viene interrotto dall’entrata in scena di una figura che non mi sarei mai aspettato di vedere: un bambino sui cinque anni, completamente distinto rispetto ai più poveri coetanei dall’aspetto trasandato che solitamente bighellonano e bivaccano in ogni “dove” tropicale.
I fiori della Jacaranda sullo sfondo sono dello stesso colore della sua camicia a quadri. I sandali così come il resto dell’abbigliamento sembrano nuovi, sicuramente sono puliti, ed è segno che è fortunato rispetto alla maggior parte dei suoi amici: si vede che ci sarà qualcuno che lo accudisce e lo educa. La dignità del suo passo, il fatto che le sue piccole braccia allargate tentano di reggere senza fatica un pesante piatto di ceramica, mantenendolo in bilico sulla testa nonostante sia vuoto, fanno sorridere: un piccolo messicano in miniatura che ha perso la bussola!

Però noto che il piatto è vuoto.
Rifletto sull’ipotesi che lo stia andando a riempire con della frutta o degli ortaggi – come ci si dovrebbe aspettare e, come del resto, farebbe sua madre o le tante donne che s’incontrano per i villaggi – ma poi una volta riempito, penso, accadrà che sicuramente diventerà più pesante e ci dovrà purtroppo rinunciare.
Oppure, continuo a ragionare su un’ipotetica ulteriore chiave di lettura, non avendo trovato altro di meglio a portata di mano per ripararsi dal sole, chi può dire che a questo bambino non gli sia venuta l’idea – proprio osservando la forma di questo enorme piatto da portata – di impiegarlo come copricapo?

Oppure un disco volante? Un disco ambulante? Forse un gioco?
Un miraggio?
In ogni caso per me questa fotografia della mia produzione resta l’immagine più veritiera e reale di un'Africa che andrebbe letta anche in chiave ironica, sia per essere compresa ma, soprattutto, per combatterne gli stereotipi che distorcono e allontanano la realtà di un continente che si muove alla velocità della luce, anche senza la deriva dei continenti.


Luca Periotto
NP novembre 2024

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