L'ecologia di Francisco

Pubblicato il 09-08-2021

di Lucia Capuzzi

Francisco Vera Manzanares, 11 anni, ambientalista colombiano, ambasciatore dell'ONU e della UE.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Non esiste un "pianeta B". Se anche un bambino è in grado di capirlo, come possono non farlo gli adulti?» L’interrogativo è solo apparentemente banale. Specie se a formularlo, con la voce acuta dell’infanzia, è un bambino di 11 anni la cui altezza – un metro e trenta – è inversamente proporziona­le a consapevolezza, maturità e im­pegno. Francisco Vera Manzanares è da tempo un veterano della difesa dell’ambiente. Nel 2019, quando era alle elementari, ha creato, insieme a sei amici, Guardianes por la vida. Tutto è cominciato con una protesta di fronte al municipio di Villeta, cittadina a 90 chilometri da Bogotà. Ora nel gruppo ci sono 220 ragazzini dell’intera Co­lombia ma anche di Messico e Argen­tina, riuniti col proposito di aumenta­re la coscienza ambientale dei cittadini e chiedere ai governanti di prendere provvedimenti urgenti in difesa della vita degli esseri umani e del pianeta.

Francisco, inoltre, partecipa ai Fri­days for future, di cui è portavoce nazionale e, al termine di ogni cor­teo, raccoglie i rifiuti che trova per strada. È poi ambasciatore di buona volontà dell’Onu e dell’Unione Euro­pea nel suo Paese. Perfino il Senato lo ha convocato per ascoltare la sua opi­nione sulla politica ecologica. E fre­quenta appena la prima media.

La stampa lo ha soprannominato il “fratellino di Greta” ma lui non ama i paragoni: «Ognuno è una persona a sé. Stimo profondamente Greta Thun­berg, ciò che fa è importante, tuttavia lei e io viviamo in contesti molto di­versi». La Colombia è, secondo Glo­bal Witness, il Paese più pericoloso al mondo per gli attivisti ambientali. Nel 2019 ne sono stati assassinati 64, l’anno scorso altri 53. Nemmeno gli 11 anni hanno messo al riparo Francisco dall’essere minacciato via social: è ac­caduto il 15 gennaio scorso. La vicenda ha provocato un moto di indignazione non solo nazionale. Il presidente Iván Duque ha garantito massimo impegno nel trovare i responsabili, mentre l’Alta commissaria Onu, Michelle Bachelet, gli ha fatto recapitare una lettera di elogio e sostegno.

Eppure Francisco si definisce un bambino come tanti altri. La matti­na fa i compiti, il pomeriggio segue le lezioni e quando può va in bicicletta, gioca su Internet a Maingraf, porta a passeggio il suo cane, Pinky, tira calci al pallone insieme agli amici che, ripe­te, sono tanti. «Non mi sento diverso dai miei coetanei perché mi preoccu­po della sopravvivenza delle persone a cui voglio bene», afferma. A soste­nerlo nel suo impegno, è soprattutto la sua famiglia, come ricorda sempre. «Appoggiano il mio attivismo e i miei sogni». Francisco, però, sottolinea: «Non recito un copione scritto dai miei genitori. Loro mi hanno dato gli strumenti per capire. Sono io, poi, a scegliere che cosa e come fare».

La madre e il padre, in particolare, gli hanno trasmesso l’amore per i libri, grazie ai quali ha potuto ren­dersi conto della gravissima crisi climatica in corso. «Vivo in una pic­cola città, circondata dalle Ande, le case hanno tutte un piccolo terreno dove ruzzolano le galline e si coltiva la yucca. Appena fuori dal centro ci sono radure, boschi e ruscelli, dove abitano moltissime specie animali. Sono cre­sciuto osservandoli e ho imparato ad amarli. Ho iniziato con il difendere i loro diritti e, poi, pian piano, leggendo e riflettendo, mi sono reso conto che non era sufficiente. Perché non può esserci vita né per loro né per noi in un pianeta distrutto dal riscaldamento globale. Ora leggo di tutto ma soprat­tutto la filosofia e le fisica, oltre alle scienze sociali. Mi interessa ciò che accade e non sopporto l’ingiustizia». Tra le letture di questo ragazzino c’è anche la Laudato si’ di papa Francesco, preziosa fonte di ispirazione, insieme al Poverello d’Assisi, che considera un modello. «Ha ragione papa Francesco quando ci esorta a costruire un’ecolo­gia integrale, cioè un’ecologia rispet­tosa dell’ambiente e delle persone che vi abitano. Custodire la casa comune vuol dire proteggere la vita mia, tua, di tutti. La sera dico le preghiere con la mamma e, ogni volta, ringrazio Dio proprio per il dono di vivere. È quanto di più prezioso abbiamo. Non siamo solo il futuro. Siamo in questo pianeta adesso e abbiamo il dovere di proteg­gerlo, ora. Ho letto anche Fratelli tutti, il cui appello alla fraternità universale non si limita agli esseri umani, include ogni creatura vivente. Spesso pensia­mo che i problemi riguardino sempre gli altri, confinati in parti del mondo troppo lontane per toccarci.

Il Covid ha dimostrato che ci sba­gliamo. Un’epidemia esplosa in Cina si è diffusa ovunque. Lo stesso accade con il cambiamento climatico: mette a rischio la vita qui in America Latina come in Europa o negli Usa, solo più lentamente». Per dare il proprio con­tributo alla risoluzione dei problemi nazionali e internazionali, Francisco vorrebbe un giorno partecipare alle elezioni ed essere eletto presidente del­la Colombia. Anche se non ha fretta. «Prima – conclude – vorrei terminare le scuole e specializzarmi in astrofisi­ca. Poi, vedremo che cosa accadrà».

 

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Un Paese senza pace

La Colombia ha una storia anti­chissima. I primi insediamenti umani risalgono al 4000 a.C. Le popolazioni indigene vengono a contatto con gli europei dopo la scoperta dell’America ad opera di Cristoforo Colombo, i conqui­stadores spagnoli in grandissima parte usano la forza per assogget­tarli e sfruttarli. Nel 1538 viene fondata Bogotà, mentre nel porto di Cartagena de Indias iniziano ad arrivare gli schiavi africani. Tra continue rivolte e feroci repres­sioni si giunge al 1821, con la Grande Colombia, comprendente i territori degli attuali Colombia, Venezuela, Ecuador e Panama, che poi diventano Stati indipendenti. La modernità aggrava i conflit­ti tra gli strati sociali, fino alla guerra civile. Famoso lo sciope­ro che causò il "masacre de las bananeras", 3mila morti, crimine ricordato anche da Gabriel García Márquez in Cent'anni di solitudi­ne. Seguono decenni di alternanza politica tra liberali e conservatori, fino alla fondazione nel 1964 delle FARC – Forze Armate Rivoluzio­narie della Colombia – esercito del Popolo, movimento di guerriglia che opera dal 2008 al 2017, quan­do hanno accettato di disarmarsi consegnando le proprie armi alle Nazioni Unite. Rimane però un migliaio di dissidenti che nel 2019 ha annunciato il ritorno all'attività armata.

 

«Non recito un copione scritto dai miei genito­ri. Loro mi hanno dato gli strumenti per capire. Sono io, poi, a scegliere che cosa e come fare».

 

NP Aprile 2021

Lucia Capuzzi

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