L'anima nascosta del consumismo

Il consumismo più sottile si impadronisce di noi quando ci porta a credere, anche inconsapevolmente, che la vita sia costruita da cose, che in un modo o nell'altro ci si debba confrontare con esse, che la sofferenza sia un caso eccezionale, che certi programmi televisivi siano effettivamente la vita e che è uno sbaglio il fatto che noi ne partecipiamo troppo poco. Non voglio sostenere, per carità, che la vita deve essere o voglia essere solo sacrificio, rinuncia a tutto: siamo troppo piccoli, troppo poco santi, troppo uomini fatti di terra e fango, per credere di poter rinunciare a tutto, per insuperbirci fino al punto di dire che saremmo in grado di fare tutto quello che ci viene richiesto.

Il consumismo è, in parte, l'anima, il tarlo sottile di tanta debolezza. Tarlo sottile, perché penetra in ogni cosa che facciamo, modifica gli entusiasmi, fa rinunciare ai grandi pensieri, giustifica in continuazione nelle piccole scelte egoistiche, indifferente alle sofferenze nel mondo, contrarie all'impegno dell'amarsi gli uni gli altri in modo da costruire una società più giusta per tutti.

Forse solo una cultura delle grandi speranze, della grande fede, del grande amore può superare questo tarlo talmente continuo e sottile, che quasi non ce ne accorgiamo più, che quasi riteniamo parte integrante e intoccabile della nostra natura. Questo tarlo sottile ci sgretola dal di dentro, come il tarlo sgretola la gamba d'un tavolo, o di una sedia. E dopo un po' di tempo vedremo ai piedi del tavolo, della sedia, un mucchietto sempre più grosso di segatura e se vorremo sederci sulla sedia e se vorremo appoggiare qualcosa sul tavolo rischiamo di rompere tutto: di rinunciare alla vita eterna, di rinunciare all'amore fra di noi, di rinunciare alle grandi cose che, anche nella sofferenza, ci possono venire dall'aver capito il senso della vita e dall'aver tentato di seguirlo.

da "Progetto" (ora "NP"), 1986, n. 4

Giorgio Ceragioli
NP giugno / luglio 2021