L'altra economia

Pubblicato il 24-10-2021

di Renato Bonomo

L'economista e filosofo indiano Amartya Sen (nato nel 1933) propone un approccio al tema della giustizia quanto mai insolito per la nostra cultura occidentale. Da Socrate in avanti, la filosofia si è sempre orientata verso la ricerca delle definizioni. Platone le ha chiamate Idee, Aristotele Sostanze. Con apparente semplicità, Sen ribalta il problema proponendo una prospettiva alternativa. Partendo dalla storia e dalla vita comune, Sen riconosce che percepiamo con maggiore chiarezza le ingiustizie più che una definizione chiara di giustizia. La priorità di Sen è pertanto affrontare le problematiche inerenti la progressiva eliminazione dell'ingiustizia e la promozione della giustizia in contesti concreti piuttosto che occuparsi di cercare di definire un'idea astratta di giustizia.
Sen nota con grande acume che gli uomini tendono a modificare la realtà in cui vivono non tanto in base a ideali e progetti comuni ma a causa di una condivisa sensazione di ingiustizia. Ma – aggiunge Sen – non basta il sentimento, occorre una vera e propria analisi razionale e critica alla base delle nostre azioni. Sen afferma che alla base di un diffuso senso di ingiustizia ci possono essere molteplici ragioni diverse tra loro, senza che necessariamente vi sia un accordo su quale di queste ragioni sia la causa prima dell'ingiustizia. La mobilitazione contro la schiavitù del XVIII e del XIX secolo ci insegna che i promotori dell'emancipazione non operarono perché mossi da un'univoca definizione di giustizia ma perché credevano – ognuno per i propri motivi – che lo schiavismo fosse un'insopportabile ingiustizia. Pur avendo orientamenti politici diversi, fu proprio questo comune sentire a stimolare un'azione decisa da parte loro.
Sen propone una via in cui i principi della giustizia non vengano definiti in termini di istituzioni o leggi, ma piuttosto in relazione alla vita e alla libertà delle persone coinvolte. Pensiamo al caso specifico della democrazia che non può essere valutata solo in base alle istituzioni formalmente esistenti, ma anche in base all'effettiva partecipazione delle varie componenti sociali.

Inoltre, dobbiamo acquisire un punto di vista globale e superare i limiti che ci vengono dalla nostra "posizione" che limita le nostre analisi e le nostre possibilità. Sarebbe pertanto opportuno occuparsi delle sofferenze e dei guai delle persone del mondo invece di restringere la nostra visuale al solo Occidente.

L'esito di questo ragionamento è che la ricerca deve essere incentrata sul confronto tra progetti o realizzazioni concrete che abbiano come obiettivo un progresso attuabile e misurabile della giustizia. Sen nutre grandi speranze che il dialogo razionale possa portare frutto in quanto, in questo mondo così irrazionale, la ragione continua a svolgere un ruolo essenziale.


Renato Bonomo
NP giugno/luglio 2021

 

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