L'accordo impossibile

Pubblicato il 15-10-2020

di Lucia Capuzzi

Le carte al tavolo del negoziato sono cambiate di colpo. Fino all’ultimo lo stallo sembrava inevitabile. I fondi di investimento privati – che avevano accumulato un credito di 67 miliardi di dollari nei confronti di Buenos Aires – non volevano cedere alla proposta di ristrutturazione del debito. Poi, nella notte tra il 3 e il 4 agosto, la situazione si è ribaltata. E l’Argentina è riuscita a strappare «l’accordo impossibile», come lo ha definito il presidente Alberto Fernández (foto), evitando il nono default della sua storia. Ci sono voluti sette mesi di trattativa per riuscirci. Ed è solo il primo passo.

L’Argentina ha 320 miliardi di dollari di pendenze accumulate, tra cui 44 miliardi con il Fondo monetario internazionale. Il negoziato con i fondi, però, è stata la prova del fuoco. Non solo per l’ammontare della somma dovuta, quanto per la forza della controparte. Un terzo dei titoli è nelle mani dei potenti fondi stranieri, tra cui il colosso BlackRock. Questi ultimi hanno tenuto la comunità nazionale e internazionale con il fiato sospeso fino all’ultimo. Non ne volevano sapere di accettare la proposta di Buenos Aires di restituire 40 centesimi per ogni dollaro ottenuto. Alla fine, le parti si sono accordate sulla somma di 54,8 centesimi per ogni dollaro: un risparmio di circa 33 miliardi per la Repubblica del Plata. Si è trattato di un buon compromesso. Ottenuto anche grazie al sostegno tutt’altro che secondario delle principali istituzioni finanziarie internazionali. Fmi in testa. È stata una delegazione del Fondo, inviata per un sopralluogo a Buenos Aires all’inizio di febbraio, a dichiarare «l’insostenibilità» del debito argentino. E a chiedere ai privati «un contributo apprezzabile per sanare la situazione». Una svolta, dati i trascorsi del Fmi America Latina.

Con l’avanzare della pandemia e i suoi sconquassi economici, le pressioni per non far fallire un Paese chiave dell’equilibrio regionale sono cresciute. Nessuno poteva permettersi di innescare un pericoloso effetto domino in un momento di recessione globale. Gli stessi investitori privati sono stati costretti a convenire. Anche a loro vantaggio: in caso di mancato accordo, le parti sarebbero rimaste in balia delle decisioni dei tribunali di New York. Certo, la strada della Repubblica del Plata per uscire dall’incubo default è ancora lunga. Innanzitutto, l’Argentina deve sedersi al tavolo con il Fmi, per la ristrutturazione di un debito da 44 miliardi di dollari. Per poi trattare con il Club di Parigi, a cui deve 2,1 miliardi di dollari. Ma «ora il nostro orizzonte è più sereno», ha dichiarato il presidente Fernández. Tra i primi numeri digitati per manifestare riconoscenza a quanti avevano contribuito alla buona riuscita del negoziato, quest’ultimo ha composto quello di Casa Santa Marta. Dall’altro capo del filo, papa Francesco ha ascoltato i ringraziamenti del connazionale. «Gli sarò eternamente grato perché in silenzio ci ha aiutato moltissimo», ha dichiarato lo stesso leader in un’intervista. Impossibile, data la schiettezza del principale protagonista, sapere che cosa abbia davvero detto e fatto per salvare l’Argentina dal nono default della sua storia. A partire da alcune piste provenienti dalla Casa Rosada, i media si sono lanciati in varie ricostruzioni.

Di certo c’è che Fernández e Bergoglio sono vecchie conoscenze dai tempi di Buenos Aires dove il cardinale e l’allora capo di gabinetto condividevano lo stesso studio dentistico. I due si sono, poi, rivisti a Santa Marta dove Fernández si è recato il 26 gennaio 2018 e nell’agosto successivo, in riunioni informali. La questione del debito, però, sarebbe stata sfiorata per la prima volta oltre un anno dopo, in una conversazione telefonica di fine 2019. Poi, di nuovo, il 31 gennaio 2020 quando il presidente argentino è stato ricevuto dal papa per 44 minuti. Poco dopo, all’inizio di febbraio, la Pontificia accademia per le scienze sociali ha organizzato un seminario sullenuove frontiere della solidarietà. In apparenza, uno dei molti incontri organizzati dalla prestigiosa istituzione diretta da Marcelo Sánchez Sorondo. All’evento, però, hanno partecipato sia il neo-ministro dell’economia argentino, Guzmán, sia la direttrice del Fmi, Kristalina Georgieva. Alcuni passi del discorso pronunciato dal Pontefice nell’aula magna – «non si può pretendere che i debiti contratti vengano pagati a prezzo di sacrifici intollerabili» e è necessario «trovare modalità per ridurre, dilazionare o estinguere il debito, compatibili con il diritto fondamentale dei popoli alla sussistenza e al progresso» – sono suonate, alle orecchie degli osservatori più attenti, come un messaggio rivolto ai due ospiti.

Non solo, alcune fonti ben informate, sostengono che proprio Francesco abbia esercitato i propri buoni uffici perché Guzmán e Georgieva potessero parlare in privato, senza i vincoli del protocollo. La direttrice del Fmi, inoltre, è stata ospite nella residenza Santa Marta nei due giorni prima del seminario. Di fatto, due settimane dopo, il Fmi si è pronunciato pubblicamente in favore delle richiesta argentina di ristrutturazione. La sfida più urgente per Fernández è tradurre la boccata d’ossigeno finanziaria sul debito in un miglioramento dell’economia reale. La recessione, in atto da oltre due anni, rischia di approfondirsi ulteriormente con il Covid. E il peso ricadrà sulle spalle dei poveri, ormai il 40 per cento della popolazione.


Lucia Capuzzi
NP agosto - settembre 2020

 


Info
Dal 1916, anno della sua indipendenza dalla Spagna, l'Argentina è andata in default 8 volte, raggiungendo tassi di inflazione a doppia cifra che hanno provocato la svalutazione della moneta locale.
Nel Paese sudamericano, dittature militari si sono alternate a governi democratici creando una pericolosa situazione di instabilità economica e sociale. Tre bancarotte sono avvenute all'inizio del millennio. Particolarmente gravosa quella del 2001 che ebbe un pesante impatto sui risparmiatori italiani, circa 450mila, che si erano esposti sui “tango bond” – titoli di stato argentini equivalenti a Bot e Btp – per oltre 12 miliardi di euro.

 


Sunto
Il fondo monetario internazionale dichiara l’insostenibilità del debito argentino che ammonta a 320 miliardi di dollari. Grazie anche all’intervento del Pontefice, potrebbe aprirsi una strada che consentirà al Paese sudamericano di salvarsi dal nono default della sua storia.

 

 

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