Jalisco Trip : la scoperta dell'America

Pubblicato il 08-11-2024

di Luca Periotto

La mia prima volta in America risale al febbraio del 2005, quando varcai l’oceano Atlantico per realizzare un video documentario sul continente americano.
Nutrivo grandi aspettative considerando che, finalmente, avrei visto con i miei occhi gli spazi immensi, i colori accesi, ammirati negli scatti e nella filmografia dei miei autori fotografi e registi cinematografici di riferimento: Stephen Shore, Robert Adams, Lewis Baltz, Edward Weston, William Eggleston, Robert Frank e Wim Wenders, senza scordarmi di Luigi Ghirri e Antonioni.
Dopo la prima fase di comprensibile entusiasmo, fui assalito dallo sconforto quando venni messo al corrente che i tanto agognati Stati Uniti d’America li avrei soltanto sfiorati, considerato che i venti giorni circa di lavoro sarebbero stati spesi e concentrati esclusivamente nello stato messicano del Jalisco, nel nord ovest del Messico.
Gli eventi presero un’altra piega nell’istante in cui un evento tragico e imprevisto, che coinvolse un famigliare di un caro amico, mi spinse a salire a bordo di un pick-up per raggiungerlo. Dovevo prendere parte anch’io al funerale che si sarebbe svolto a quasi mille chilometri a est, nella sua città natale a Saltillo, Stato del Coahuila, poco distante dal confine con il Texas.

Appena il viaggio cominciò, tutto per me era nuovo. Così bombardato visivamente da migliaia di informazioni visive inedite, dovetti più volte castrare il mio desiderio di chiedere all’autista di fermarsi. Non avevamo tempo e lo capivo.
Avevo voglia di fotografare: avrei lavorato per addizione o per sottrazione?
Che effetto mi avrebbero fatto a distanza di tempo, rivedere stampate su carta le stesse immagini che via via si susseguivano davanti agli occhi?
In quel viaggio lungo e diretto, non ebbi altra soluzione che allestire una postazione fotografica appropriandomi di tutto il sedile posteriore, sfruttando i due finestrini laterali usati all’occasione come due schermi televisivi, o, se preferite, come due schermi cinematografici, scattando e prendendo nota di ciò che avrei visto materializzarsi in tempo reale durante quell’esperienza.
Questo progetto narra di un dialogo intimista con me stesso, sul significato della fotografia in movimento, sugli spazi geografici attraversati senza fermarsi, sulle sovraesposizioni e sul tempo.
Vorrei che fosse considerato come un vero e proprio corpus topografico che ho affrontato seguendo l’impulso primordiale della scoperta.

Lungo la strada ho attraversato paesi silenziosi, dove la vita esiste anche se chi la vive sembra dimenticarsene.
Questo accadeva cinque o sei anni prima che l’enorme ondata di violenza dei cartelli della droga scatenasse in Messico una guerra senza quartiere. Una guerra così radicata e difficile da debellare che viene da chiedersi se mai, un giorno, potrà essere finalmente debellata.
C’erano già allora i migranti che dal sud cercavano di raggiungere la frontiera blindata di El Paso, su a nord del deserto di Coahuila: andavano avanti senza paura, senza mai guardarsi alle spalle.
Io li vedevo sotto forma di grandi trucks (camion), che osservavo durante una fase di sorpasso: per via della loro imponenza, lunghi come treni, non potevano che andare avanti in un’unica direzione, senza possibilità alcuna di invertire il senso di marcia.
Incontrai un sacerdote di Cuneo a Tijuana: mi raccontò (davanti a una fredda pastasciutta), come non fosse raro che ai migranti venissero sequestrati i documenti. «I più sfortunati – mi disse – sono anche usati come bersagli da quei facoltosi benestanti che si divertono a fare “tiro al piattello“ a bordo di un elicottero!».

Questa che presento è solo una ridotta selezione di immagini che spero un giorno di poter pubblicare nella sua interezza in un libro fotografico.
Tuttavia, rivedendolo ora in anteprima, nel suo insieme, alla luce della mia esperienza, mi rendo conto di non aver scattato delle semplici fotografie, ma mi sento come se avessi catturato nel deserto e nello spazio dei fossili. Come quei fantasmi letterari che abitano in rigoroso silenzio, l’infestata Comala di Pedro Paramo*. Ecco, il “realismo magico”.

* Juan Rulfo, Pedro Páramo, Einaudi, 1ª edizione italiana 1960


Luca Periotto
NPEYES
NP agosto / settembre 2024

 

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