Insieme

Pubblicato il 21-10-2022

di Renzo Agasso

Che dire ancora di Aldo Moro, della sua tragica fine? Libri e film – non sempre fedelmente – ne perpetuano il ricordo. I cinquantacinque giorni della prigionia nelle mani degli assassini autonominatisi Brigate Rosse, tuttavia, sovrastano il valore della vita e della politica del leader democristiano.
Conviene, dunque, ascoltare Moro stesso, cioè rileggere le sue parole, apprezzarne la profondità, rimpiangerne la perdita. Nel suo ultimo discorso – testamento politico – dice ai gruppi parlamentari della Democrazia Cristiana, riottosi, incerti e spauriti nell’apertura al Partito Comunista: «Se mi dite: fra qualche tempo cosa accadrà? Io rispondo: può esservi qualcosa di nuovo. Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a questo domani, credo si potrebbe accettare. Ma, cari amici, non è possibile.
Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità».

«Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato, con tutte le sue difficoltà. Quel che è importante è affinare l’animo, delineare meglio la fisionomia, arricchire il patrimonio ideale della Democrazia Cristiana. Quel che è importante, in questo passaggio, se voi lo vorrete, se esso sarà obiettivamente possibile, moderato e significativo, è preservare a ogni costo la unità della Democrazia Cristiana».
«(…) È vero quel che io ho detto, che se dovessimo sbagliare, meglio sbagliare insieme. Se dovessimo riuscire, ah! certo sarebbe estremamente bello riuscire insieme. Ma essere sempre insieme! (…)».

«Ma ricordiamoci della nostra caratterizzazione cristiana e della nostra anima popolare. Ricordiamo quindi quello che siamo. Siamo importanti, ma siamo importanti per questo amalgama che caratterizza da trent’anni la Democrazia Cristiana. Se non siamo declinati è perché siamo tutte queste cose insieme. E senza queste cose non saremmo il più grande partito popolare italiano. Conserviamo la nostra fisionomia e conserviamo la nostra unità. (…) Camminiamo insieme perché l’avvenire appartiene in larga misura ancora a noi».
È il 28 febbraio 1978. Sedici giorni dopo Aldo Moro è rapito dalle Brigate Rosse, cinquantacinque altri giorni dopo brutalmente assassinato.

Aveva detto, in altro momento: «Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere».
Paolo VI lo chiamò «uomo buono, mite, saggio, innocente e amico ».


Renzo Agasso
NP giugno / luglio 2022

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