Il tampone impossibile

Pubblicato il 22-12-2020

di Stefano Caredda

Dovrebbe fare un tampone. Facile a dirsi, assai più com­plicato a farsi. E non per mancanza di di­sponibilità dell’esa­me, ma per oggettiva impossibilità a farlo da parte del soggetto che dovreb­be essere testato. Fra i tanti, c’è anche questo aspetto nel mare magnum di necessità e di attenzioni che l’emergen­za sanitaria da Covid-19 ha determi­nato: la questione riguarda le persone con una disabilità di tipo intellettivo o relazionale, per le quali non solo è dif­ficile (come tutti) orientarsi nella giun­gla di test a disposizione (molecolari, rapidi, salivari, del sangue...) ma per le quali è la stessa procedura di prelievo del campione da analizzare ad essere difficile, se non impossibile.

Per una persona con disabilità intel­lettiva sottoporsi ad una procedura invasiva come quella del tampone mo­lecolare orofaringeo, cioè con il prelie­vo dal naso e/o dalla bocca, può essere fonte di gravi disagio e turbamento. Oltre a non percepire il senso dell’ope­razione, e quindi a viverla come un’ir­ruzione negativa nel proprio ambito corporeo, una persona con esigenze speciali, ad esempio con disturbi del neurosviluppo o con un disturbo dello spettro autistico, tenderà a non presta­re la benché minima collaborazione al momento dell’esecuzione del test, con un rischio evidente – laddove la pro­cedura venga comunque eseguita – di vivere il test come un sopruso, deter­minando un vero e proprio trauma.

Da mesi le associazioni che si occupa­no nello specifico di disabilità metto­no in guardia su questi aspetti, tanto più importanti ora rispetto al passato in ragione dell’aumento notevole nel­la disponibilità di test a disposizione. In realtà, viene spiegato, anche se i test si sono diversificati, la loro esecuzione rimane sempre particolarmente diffi­cile: il tampone orofaringeo (tradizio­nale o rapido) non è poi molto diverso da un test salivare, e un prelievo del sangue è ancor più invasivo in soggetti non collaboranti.

Ecco perché in molti casi l’esecuzione del test richiede l’uso della sedazione, con tutte le conseguenze del caso in termini organizzativi, oltre che rela­zionali. Ma anche senza arrivare alla sedazione, da intendere comunque come ultima opzione, e che richiede comunque regole stringenti di esecu­zione, ciò che è fondamentale è che oc­corre predisporre percorsi adeguati af­finché il test venga svolto in condizioni ottimali. Non è il caso dei drive-in che abbiamo imparato a conoscere: un test in auto, magari dopo una lunga attesa, in un ambiente precario e poco ras­sicurante, provocherebbe facilmente reazioni incontrollabili e nei fatti ren­derebbe impossibile l’esame. Fra le al­ternative proposte, da un lato i tampo­ni a domicilio, con la collaborazione e la supervisione dei familiari, in un am­biente rassicurante e psicologicamen­te più adatto; dall’altro l’affidamento della procedura a quelle strutture che già da tempo trattano questi pazienti, come ad esempio avviene nei reparti di odontoiatria specializzati in cure a persone non collaboranti. E dove è necessario l’impiego di personale spe­cializzato, informato e all’altezza del compito.

 

Stefano Caredda
NP novembre 2020

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